La Legge 104 del 1992, una norma di civiltà, è diventata sinonimo di abuso nel mondo della pubblica amministrazione. Gli insegnanti tempo indeterminato usufruiscono di questi benefici in una percentuale di quasi nove volte superiore rispetto ai lavoratori del settore privato, dove solo l’1,5% ricorre a questa possibilità. Una differenza così eclatante da far nascere sospetti, riporta Quotidiano.net.
Nelle prossime settimane ci sarà un tavolo tra Miur, Inps, ministero della Salute e Regioni che metterà in piedi una rete di monitoraggio e controllo dei benefici fruiti in base alla 104.
NUMERI – Gli ultimi numeri a disposizione del Miur sull’utilizzo dei permessi previsti dalla 104 sono contenuti in un report del 2016 e al ministero di viale Trastevere spiegano che la tendenza è confermata anche quest’anno. Usufruisce, dunque, della 104 intorno al 13% dei docenti di ruolo e il 5% dei supplenti.
Il ricorso alla 104 è diffusissimo al Sud, con percentuali doppie rispetto al Nord. Primeggia la Sardegna (18,7%), seguita da Umbria (17,1%), Sicilia (16,7%), Lazio (16,3%), Puglia (15,9%), Campania (15,7%). All’opposto il Piemonte dove solo l’8,26% degli insegnanti ha la 104 mentre anche Toscana e Veneto sono sotto la soglia del 10%. Sul fronte del personale Ata la percentuale media dei richiedenti è del 17%, mentre la regione con il maggior numero di beneficiari è l’Umbria con il 26,7%.
CONSEGUENZE – Gli eventuali ‘furbetti’ oltre a godere, senza averne i requisiti, di permessi retribuiti hanno anche agevolazioni nelle graduatorie scolastiche. Ovvero a parità di punteggio chi ha riconosciuta la 104 ha la precedenza sugli altri, sia nella scelta della scuola, sia nell’entrata in ruolo. La 104 consente di evitare di perdere il posto e di essere trasferito. Per non parlare del fatto che i permessi della 104 non possono essere messi a supplenza, così a rimetterci, con le ore di lezione scoperte, sono gli studenti.
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