Dopo una lunga riunione del Consiglio dei Ministri, c’è il via libera.
“Accordo raggiunto con tutto il governo sul 2,4%. Siamo soddisfatti, è la manovra del cambiamento”.
Matteo Salvini e Luigi Di Maio annunciano l’intesa faticosamente raggiunta sulla nota di aggiornamento al Def,
Portano a casa le misure simbolo del contratto gialloverde, dal reddito di cittadinanza al superamento della Fornero, passando per l’aliquota al 15% “per più di un milione di lavoratori”.
“Tasse abbassate al 15% per più di un milione di lavoratori italiani – ha detto il ministro dell’Interno Matteo Salvini -, diritto alla pensione per almeno 400.000 persone e altrettanti posti di lavoro a disposizione dei nostri giovani superando la legge Fornero, chiusura delle cartelle di Equitalia, investimenti per scuole, strade e Comuni. Nessun aumento dell’Iva”.
Ecco il post del ministro del Lavoro, Luigi Di Maio su Instagram (clicca qui per il link)
“RAGAZZI! Oggi è un giorno storico! Oggi è cambiata l’Italia! Abbiamo portato a casa la Manovra del Popolo che per la prima volta nella storia di questo Paese cancella la povertà grazie al Reddito di Cittadinanza, per il quale ci sono 10 miliardi, e rilancia il mercato del lavoro anche attraverso la riforma dei centri per l’impiego. Restituiamo finalmente un futuro a 6 milioni e mezzo di persone che fino ad oggi hanno vissuto in condizione di povertà e che fino ad oggi sono stati sempre completamente ignorati.
Nella Manovra del Popolo abbiamo inserito anche la pensione di cittadinanza che restituisce dignità ai pensionati perché alza la minima a 780 euro. E con il superamento della Fornero, chi ha lavorato una vita può finalmente andare in pensione liberando posti di lavoro per i nostri giovani, non più costretti a lasciare il nostro Paese per avere un’opportunità.
I truffati delle banche saranno finalmente risarciti! Abbiamo istituito un Fondo ad hoc di 1,5 miliardi.
Per la prima volta lo Stato è dalla parte dei cittadini. Per la prima volta non toglie, ma dà. Gli ultimi sono finalmente al primo posto perché abbiamo sacrificato i privilegi e gli interessi dei potenti. Sono felice. Insieme abbiamo dimostrato che cambiare il Paese si può e che i soldi ci sono. Tra poco in diretta su Facebook vi racconterò tutti i dettagli!”
La riforma del sistema di pensioni fa parte del decreto legge Salva Italia varato dal governo Monti a fine 2011.
In particolare la riforma impone il sistema di calcolo contributivo nella costruzione della pensione di tutti i lavoratori, anche per coloro che – in ragione di un’altra riforma, quella del governo Dini nel 1995 – stavano costruendo la propria pensione con il più sistema retributivo.
La pensione viene così calcolata in base ai versamenti effettuati dal lavoratore e non agli ultimi stipendi percepiti.
Allo stesso modo la riforma Fornero ha innalzato l’età pensionistica di uomini e donne, stabilendo i requisiti per la “pensione di vecchiaia” (in base all’età anagrafica): minimo 20 anni di contribuzione e 66 anni di età per donne del pubblico impiego e uomini (Pa e privati), 62 anni per donne del settore privato (poi 66 anni e 3 mesi nel 2018), 63 anni e 6 mesi per donne lavoratrici autonome (che diventeranno gradualmente 66 anni e 3 mesi nel 2018).
Con la legge Fornero viene abolita la “pensione di anzianità” (in base al numero di anni di lavoro) sostituita dalla “pensione anticipata”: oggi bisogna aver lavorato 41 anni e 3 mesi per le donne o 42 anni e 3 mesi per gli uomini.
La Legge Fornero prevede l’aumento dei versamenti contributivi per una serie di categorie occupazionali, tra cui artigiani, commercianti e lavoratori autonomi.
Uno dei più famosi effetti collaterali della Legge Fornero è quello degli “esodati”, cioè i lavoratori che avevano sottoscritto accordi aziendali o di categoria che prevedevano il pensionamento di vecchiaia anticipato rispetto ai requisiti richiesti in precedenza.
Complice l’innalzamento dell’età del pensionamento essi sono rimasti senza più stipendio e senza ancora pensione, per diverso. Un caso sui cui è intervenuto successivamente il governo per garantire una via d’uscita.
Ammonterebbe a 660mila la quota di dipendenti pubblici che verrebbe collocata in pensione nel volgere di un anno qualora il Governo approvasse quota 100 con soglia minima 62 anni: il calcolo è stato fatto da Tabula e pubblicato dal Sole 24 Ore: l’ipotesi è che quota 100 con 62 anni di età minima, scrive il giornale economico, potrebbe avere circa 350mila beneficiari il primo anno con una spesa di 8,5 miliardi e circa 11 miliardi a regime.
Se si aggiungono le uscite a 41 e mezzo, attraverso il ripristino della pensione di anzianità ai livelli pre-Fornero, la cifra che salirebbe a regime a 20 miliardi.
L’eventualità aprirebbe le porte alla liberazione di tantissime cattedre. Come già segnalato da La Tecnica della Scuola, la quota 100 rappresenterebbe un motivo in più per accelerare l’approvazione delle nuove norme che regolano il reclutamento, ma soprattutto l’avvio dei concorsi.
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