Con la legge di bilancio per il 2020 il Governo intende rilanciare il sistema scolastico “che – come si legge nella relazione introduttiva – soffre di forti divari territoriali negli apprendimenti, con una polarità Nord-Sud evidente, come evidenziato dai Rapporti INVALSI”.
Con quali risorse si possa raggiungere l’obiettivo non è molto chiaro perché poi, se si vanno a leggere i numeri, si scopre che gli stanziamenti sono davvero modesti.
Così come modesti i punti su cui si pensa di intervenire.
Il primo “macro-obiettivo” da perseguire è quello della “scuola inclusiva e sostenibile” che viene declinata con riferimento alla educazione civica, al sistema integrato di educazione e di istruzione per bambini dalla nascita ai sei anni e alla internazionalizzazione del sistema scolastica (si parla in proposito di “sostenere, anche con apposite misure nazionali, non solo la mobilità degli studenti, ma anche dei docenti e di tutto il personale scolastico”).
Un po’ poco, per la verità, se si pensa che il M5S, “partito” di maggioranza relativa al Governo da un anno e mezzo, parlava di eliminazione delle “classi pollaio”, estensione del tempo pieno al sud, incrementi stipendiali sostanziosi, abolizione del precariato e altro ancora.
Il secondo macro-obiettivo prevede la realizzazione di un piano di intervento per la riduzione dei divari territoriali. Molto modesta la “ricetta” proposta che parte dal dato che emerge dai rapporti Invalsi: “Tutte le analisi evidenziano che gli elementi di contesto in cui si inseriscono le scuole condizionano e in buona parte determinano i risultati delle scuole e degli studenti”.
“Pertanto – si legge ancora nella relazione – è necessario un maggior orientamento e supporto professionale accanto ad un’azione integrata ed organica fra scuola, famiglia e territorio. Il progetto di intervento finalizzato al miglioramento dei risultati prenderà avvio in fase sperimentale in contesti particolarmente significativi e rappresentativi dei diversi fattori su cui si intende intervenire e sarà focalizzato principalmente sulla condivisione di buone pratiche, sulla cura della didattica e sul miglioramento delle competenze chiave”.
Sembra, insomma, che per migliorare la qualità delle scuole che operano in territori difficili si debba partire dalla “emulazione” delle pratiche didattiche delle scuole “migliori”, quasi che gli esiti dei processi formativi siano legati esclusivamente alla didattica e non anche a molti altri fattori di ordine sociale, culturale, economico, familiare e così via.
C’è poi il tema della sicurezza degli edifici scolastici per il quale la legge di bilancio prevede qualche stanziamento che deriva però dal vecchio “decreto Carrozza” del 2013.
L’ultimo aspetto riguarda le innovazioni legislative del settore scuola, che quasi certamente deluderà molto tutti coloro che si aspettavano dal M5S una politica scolastica più coraggiosa.
Due sono le misure che il Governo prevede di realizzare nel 2020: supporto e accompagnamento degli istituti professionali nel triennio conclusivo dei percorsi di studi, che prenderà avvio dall’a.s. 2020/2021 (si prevede in particolare di “promuovere la filiera formativa del settore agro-alimentare ed enogastronomico” e di rafforzare “i settori dell’efficienza energetica, tecnologico e della comunicazione”) e indizione del concorso straordinario abilitante per i docenti della scuola secondaria.
Quanto alle risorse, per il momento sono sempre le stesse: 30 milioni di euro per la retribuzione accessoria dei dirigenti scolastici, 11 per le attività di formazione dei docenti specializzati per l’inclusione e 2 per le iniziative didattiche di innovazione digitale.
Per i contratti pubblici ci sono circa tre miliardi che basteranno appena per un aumento lordo di 60-65 euro pro capite.
Vedremo se, nel corso del dibattito parlamentare, si aprirà qualche spiraglio per un aumento delle risorse.
Ma, per ora, le possibilità sembrano molto limitate.
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