Tutti vogliono cancellare la Legge Fornero. M5S e Lega, le due forze di maggioranza, sono, più o meno, compatte. La riforma promulgata nel 2011 dall’allora ministro del Lavoro non va bene.
La riforma del sistema di pensioni fa parte del decreto legge Salva Italia varato dal governo Monti a fine 2011.
In particolare la riforma impone il sistema di calcolo contributivo nella costruzione della pensione di tutti i lavoratori, anche per coloro che – in ragione di un’altra riforma, quella del governo Dini nel 1995 – stavano costruendo la propria pensione con il più sistema retributivo.
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La pensione viene così calcolata in base ai versamenti effettuati dal lavoratore e non agli ultimi stipendi percepiti.
Allo stesso modo la riforma Fornero ha innalzato l’età pensionistica di uomini e donne, stabilendo i requisiti per la “pensione di vecchiaia” (in base all’età anagrafica): minimo 20 anni di contribuzione e 66 anni di età per donne del pubblico impiego e uomini (Pa e privati), 62 anni per donne del settore privato (poi 66 anni e 3 mesi nel 2018), 63 anni e 6 mesi per donne lavoratrici autonome (che diventeranno gradualmente 66 anni e 3 mesi nel 2018).
Con la legge Fornero viene abolita la “pensione di anzianità” (in base al numero di anni di lavoro) sostituita dalla “pensione anticipata”: oggi bisogna aver lavorato 41 anni e 3 mesi per le donne o 42 anni e 3 mesi per gli uomini.
La Legge Fornero prevede l’aumento dei versamenti contributivi per una serie di categorie occupazionali, tra cui artigiani, commercianti e lavoratori autonomi.
Uno dei più famosi effetti collaterali della Legge Fornero è quello degli “esodati”, cioè i lavoratori che avevano sottoscritto accordi aziendali o di categoria che prevedevano il pensionamento di vecchiaia anticipato rispetto ai requisiti richiesti in precedenza.
Complice l’innalzamento dell’età del pensionamento essi sono rimasti senza più stipendio e senza ancora pensione, per diverso. Un caso sui cui è intervenuto successivamente il governo per garantire una via d’uscita.
L’anticipo pensionistico quota 100 previsto nella manovra di fine anno non riguarderà, al momento, il personale della scuola, che nel 2019 resterà fuori dal beneficio.
“Quota 100 non potrà valere per la scuola, che salta un giro”, ha detto il segretario generale della Uil Scuola, Pino Turi, nella giornata conclusiva dell’Esecutivo del sindacato riunito a Fiuggi.
In realtà, però, le cose potrebbero cambiare al photofinish. Come illustrato dal Corriere della Sera Alberto Brambilla, esperto di previdenza di area Lega, avrebbe presentato una nuova formula della riforma delle pensioni.
Secondo questa versione potrebbe andare in pensione a marzo 2019 soltanto chi avrà raggiunto i requisiti per la quota 100 – che corrispondono a 62 anni di età e 38 di contributi versati – da almeno due anni.
Quindi, in sostanza, a partire da gennaio si dovrebbe andare in pensione chi ha 64 anni di età e 40 di contributi.
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