“Leggere il Decameron” di Francesco Bausi, (Giuda alle grandi opere), Il Mulino, è uno di quei libri adatti a tutti sicuramente, ma ai prof di lettere, che hanno in animo di entrare con gli alunni tra i meandri più belli dell’opera di Giovanni Boccaccio, dove fare gola in modo particolare.
Scrostata sapientemente l’antica patina banalmente “boccaccesca”, il pregio del libro è quello di mettere in mostra il complesso univoco, seppure come è noto si narrino 100 novelle divise in 10 giornate in base a un tema, su cui è costruita tutta l’architettura delle narrazioni. Ed essa ha essenzialmente, come dimostra Bausi con sapienza critica, finalità didascalica che però è trattata come danza giocosa, ludica, senza le pesantezze che “l’ammaestramento” generalmente richiede: Lehrstücke insomma.
E così lo sono i temi, descritti in tutte le sfaccettature, ma senza nulla occultare e trascurare, che si tratti di vizio e di corruzione, di crudeltà e di abiezione: questi sono, se vi pare, e così la gente si comporta e non a “piacer vostro”
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Ma Boccaccio, spiega l’autore, non si limita a registrare i caratteri degli uomini, non è il suo novelliere un “atlante della condizione umana”, emerge bensì, nel confronto tra le novelle e nella struttura, dal proemio, alla cornice, dai commenti e alla premesse dei narratori, insieme al il lessico, il punto di vista dell’autore che guida chi legge verso il corretto approccio all’opera.
Un edificio artistico che permette di ritrovare e trarre quell’utile insegnamento che insieme al “diletto” è la finalità per la quale il Decamerone fu composto. Una ‘misura’ razionale contro ogni eccesso, con lo scopo di divertire ma pure di stimolare a riflettere: fra “diletto” e “utile consiglio”, appunto, come recita un capitolo del prezioso saggio.
“In estrema sintesi, la prospettiva del Decameron è quella del ‘giusto mezzo’ e della ‘misura’ razionale, contro la mortificazione ascetica della natura ma anche contro ogni eccesso passionale, che porta solo dolore, distruzione e morte. Una lezione di equilibrio e di saggezza, questa, cui i dieci narratori uniformano le loro vite durante i quindici giorni di permanenza in campagna, e con la quale tornano poi nella città ancora devastata dalla peste, per ricostruire i fondamenti della vita civile distrutti dall’epidemia, e per affrontare il male e la morte senza angoscia e disperazione”, spiega lo stesso autore.
E spiega pure perché a scuola debba essere in qualche modo, oltre che letto, commentato per cercarne pure le modernità con il terzo millennio.
Infatti il Decameron più che attuale è utile, “come lezione di equilibrio interiore e come invito a ricercare una dimensione armoniosa del vivere, nella quale ogni aspetto della persona trovi il giusto spazio e la debita valorizzazione, senza preclusioni, ma anche all’interno di una precisa gerarchia di valori. E la grandiosa allegoria della peste con cui l’opera si apre autorizza a leggere il libro anche come una sorta di liberatorio day after, come un invito a cercare e a ricreare dentro noi stessi le fondamenta di un nuovo modo di vivere, nel segno della ragione, della natura e della libertà”.
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