La gestione dell’emergenza sta ormai portando definitivamente alla luce un tema non più rinviabile, quello del rapporto fra Stato e Regioni in materia di istruzione.
Pur con non poche resistenze, anche chi ha sempre sostenuto la necessità ineludibile di lasciare poco spazio alle scelte e alle decisioni a livello regionale sta di fatto accettando che i Presidenti delle Regioni intervengano sulla materia.
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Il fatto è che ormai le scelte delle singole regioni riguardano non soltanto aspetti di natura organizzativa generale (il calendario scolastico, per esempio) o “pezzi” marginali dell’offerta formativa ma toccano il cuore del “fare scuola”.
Fino a pochi mesi si gridava spesso allo scandalo se una regione parlava di corsi sulla lingua regionale per tutti gli studenti di un certo ordine di scuola.
Adesso anche molti difensori del “centralismo” senza se e senza ma (basta leggere post e commenti sui social per rendersene conto) incominciano ad accettare il “nuovo corso”.
Anzi, sono sempre più frequenti i commenti di coloro che auspicano interventi delle regioni finalizzati non solo ad “adattare” le misure nazionali alle esigenze del territorio ma addirittura a contrastarle.
Tanto che ormai il tema del giorno sta diventando proprio quello dello scontro fra Stato e Regioni.
La pandemia, insomma, sta facendo tornare di grande attualità il progetto di autonomia differenziata che, forse, potrebbe a questo punto essere “digerito” anche da chi finora lo ha sempre osteggiato.
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