Chiara Saraceno su Lavoce.info, oltre a fare una lucidissima analisi sulla didattica a distanza e di chi in effetti ne usufruisce: in pratica il 6% di tutti gli studenti (mentre il 12,3%- 850 mila in termini assoluti- non ha un computer o un tablet a casa, di cui la metà abita al Sud dove il problema riguarda quasi il 20% dei ragazzi), analizza anche il disuguale impatto dell’emergenza sanitaria, “che è, se possibile, più grave per i bambini e ragazzi, perché incide sulle opportunità di sviluppo delle loro capacità, con effetti di lungo periodo, nonostante le iniziative e gli sforzi di molti bravi insegnanti che vedono disperdersi il lavoro di costruzione di rapporti di fiducia e di impegno fatto in precedenza e le iniziative di associazioni della società civile e di terzo settore che stanno facendo un grande lavoro di supplenza”.
La chiusura delle scuola aumenta il rischio dipovertà
E aggiunge che col “prolungarsi della chiusura delle scuole (incluse quelle dell’infanzia e i nidi), il digital divideterritoriale e sociale aumenta il rischio di povertà educativa e mette a rischio il diritto all’istruzione”.
Secondo la studiosa inoltre il fatto che le scuole rimarranno chiuse durante le vacanze di Pasqua evidenzia “anche un’altra debolezza del sistema italiano: il suo affidamento alla famiglia come unico responsabile del benessere dei bambini e ragazzi e dell’organizzazione del loro tempo fuori da quello scolastico. È curioso e preoccupante che nell’affrontare la questione della progressiva fuoruscita dal lockdown nulla venga detto su che cosa avverrà per i bambini e ragazzi, come si provvederà alle loro esigenze di socializzazione, movimento, cura (se piccoli)”.
Che fare? Ecco delle proposte
Che fare allora, si chiede Saraceno: intanto “politiche da attuare subito ed alcune in prospettiva. Tra le prime, accanto ad un assegno temporaneo per i figli minorenni in attesa di una riforma dell’intero sistema dei trasferimenti monetari per i figli, vi è un intervento sistematico per favorire l’accesso ad internet a basso o nessun costo, l’utilizzo della televisione pubblica per programmi didattici (anche per i più piccoli), la collaborazione e sostegno non solo agli insegnanti, ma a tutte quelle realtà di società civile e terzo settore che in queste settimane stanno operando perché i bambini e ragazzi più svantaggiati non siano lasciati soli. Questa collaborazione dovrebbe diventare un modo di lavorare sistematico a livello locale anche in prospettiva, superando l’occasionalità e frammentazione favorite dalla logica dei bandi. Quanto alla questione della conciliazione lavoro-famiglia, non può essere affidata solo al lavoro a distanza, per chi può farlo, o al ricorso alle babysitter. Mentre in prospettiva occorrerà rafforzare il sistema dei nidi, scuole dell’infanzia, scuole dell’obbligo a tempo pieno, nell’immediato, man mano che si ricomincerà a uscire, occorre predisporre, con le forme di sicurezza necessarie, spazi di socialità ed educazione extra-familiari sia, appunto, per favorire la conciliazione famiglia-lavoro dei genitori, sia per consentire ai bambini e ragazzi quelle attività che sono state loro a lungo precluse”.