Noi maestri, a settembre, appena entreremo in classe, diremo ai nostri alunni: “Attenzione! Siete tutti bravi, ma solo uno di voi sarà un “alunno esperto”, gli altri potranno ritentare… tra 9 anni”.
L’unica idea, tra le tante malsane, a lungo termine del governo Draghi è l’introduzione di una nuova figura: il docente esperto. Che cosa significa? Quale sarà la sua funzione e, soprattutto, perché? Laurea magistrale, altri crediti formativi universitari, continui corsi di aggiornamento, selezione per l’abilitazione, concorsi selettivi per l’immissione in ruolo, anni e anni di servizio non bastano per essere definiti “docenti esperti”? È l’ennesimo smacco ai professionisti dell’istruzione, un’umiliazione per tutta la categoria.
Sono previsti 8000 posti in tutto in territorio nazionale, per 400 euro lordi al mese in più in busta paga, ma a partire dal 2032, ossia tra 10 anni, dopo aver frequentato (non è dato sapere se la selezione avverrà per servilismo, clientelismo o nepotismo) 3 corsi triennali di formazione a spese degli interessati, consecutivi e non sovrapponibili, per un totale di altri 9 anni di studio, che, sommati alla formazione precedente, diventeranno circa 15.
I tempi per una canonizzazione sono più brevi. In verità, per ogni professione del terzo settore sono richiesti meno anni di studio e una maggiore gratificazione economica e sociale di un insegnante, di colui che ha la responsabilità di formare i cittadini consapevoli e attivi di domani, a cui una famiglia affida il proprio figlio e di cui quel figlio si fida. Di colui che deve “lasciare il segno”.
Pur di non retribuire adeguatamente tutto il comparto scuola e a livello dei colleghi europei e, in aggiunta, non equiparando ancora, nel 2022, gli stipendi per gli insegnanti di ogni ordine e grado, lo Stato si mostra in tutta la sua sovranità: Divide et impera. Seminare odio in un popolo ormai sottomesso, giova solo a chi lo domina.
I docenti chiedono titoli e competenze a chi si occupa di scuola, i veri inesperti, che la giudicano e la condannano dall’alto, senza varcarne la soglia da almeno un ventennio, da quando è iniziato il suo smantellamento, considerandola una spesa e non un investimento. Precariato storico, tagli su tagli a discipline, ore, cattedre, posti di lavoro. Tagli alla cultura, violentata continuamente da politiche schizofreniche. La scuola non come sede elettorale, ma come bacino di voti. La scuola azienda, la scuola burocrate, la scuola all’asta, la scuola meretrice. La scuola non più scuola. Della scuola pubblica, aperta, democratica, planetaria, inclusiva, di tutti e di ciascuno sono rimaste tracce scritte, solo per i nostalgici, per coloro che vorranno leggerle. Queste righe sono stata scritte da docenti inesperti.
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