La Tecnica della Scuola ripropone il meglio della rubrica “Sulle spalle dei giganti”, i grandi della scienza raccontati sotto un punto di vista storico.
Leonardo fu come lui stesso disse “omo sanza lettere” dunque un autodidatta: questo gli permise di avvicinarsi da subito alla “vera maestra”, la “sperientia” e a prediligere la pratica, l’esperienza diretta, senza concentrare eccessivamente la sua attenzione sui testi degli antichi, ma leggendo libri scritti in italiano. Prima osservare, diceva, e poi tornare alla teoria con la ragione.
Fu anche molto fortunato perché visse il profondo rinnovamento portato dall’invenzione della stampa. Infatti se nel 1452 Johannes Gutenberg aveva inventato il torchio tipografico a caratteri mobili, nel 1469 nasceva la prima stamperia italiana e negli anni successivi fiorirono numerose case editrici, in particolare a Venezia. Quando nel 1500 Leonardo la visitò vi erano circa cento tipografie che avevano già stampato 2 milioni di volumi. Oggi sappiamo che nel 1504 Leonardo possedeva cinquanta libri di letteratura, quaranta scientifici, tre di matematica, dieci di arte e letteratura, e otto di religione.
Questo gli permise di evolversi, di continuare a imparare e di capire la relazione reciproca che lega e rafforza osservazione dei fenomeni e impianto teorico. In altre parole fece sua l’aristotelica complementarietà dell’induzione-deduzione, dunque osservare fenomeni per indurre una teoria generale e usare questa per prevedere i risultati. In più grazie al lavoro artigiano e le botteghe fece propria quell’abilità nel fabbricare strumenti di precisione che arrivava dal mondo arabo. Inoltre era dotato di una curiosità inappagabile e di conseguenza di uno spirito d’osservazione prodigioso: pensate che era in grado di osservare il movimento delle ali di una libellula in volo. Continuò per tutta la vita a stupirsi e a porsi domande che normalmente fanno i bambini, e questo dovrebbe farci riflettere. Fu certamente un precursore di quel metodo conoscitivo che diede vita alla rivoluzione scientifica.
C’è però un aspetto fondamentale che non dobbiamo dimenticare: a differenza dei protagonisti della rivoluzione scientifica, Leonardo non disponeva di modelli matematici astratti per comprendere o ricavare le leggi che regolano la natura, così si affidava a mezzi diversi: in particolare a somiglianze e analogie. La sua mente e la sua penna spaziavano alla ricerca delle “rime” della natura con un andamento poetico e artistico. Ad esempio mentre tratteggiava i ricci di una donna disegnava il flusso turbolento dell’acqua, mentre studiava le vene del corpo umano abbozzava virgulti e germogli.
Se pensiamo che questo andare per somiglianze e analogie sia stato sostituito dall’avvento della matematica, sbagliamo e non poco: non esiste infatti un metodo aureo scientifico e semmai il metodo matematico si è affiancato ad altri già esistenti, come quello di Leonardo. Anche oggi infatti la conoscenza, in particolare quella scientifica, consiste proprio nella capacità di tessere analogie, di vedere legami fra oggetti, concetti e modelli solo apparentemente separati. È l’abilità di intuire o creare trame mai immaginate prima. Quando diciamo che la conoscenza scientifica ha bisogno delle materie umanistiche, intendiamo proprio questo: avvicinare mondi distanti, osservare la natura come un’unica opera d’arte per favorire la creatività. Questa è una della eredità più preziose che ci lascia oggi Leonardo.
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