Attualità

L’Esame di maturità compie 100 anni. Breve cronistoria di un rito che ha perso la sua sacralità

Da 26 anni si chiama ufficialmente Esame di Stato, ma all’epoca era già abbastanza anziano per accettare così, su due piedi, un cambio di nome. Figuriamoci adesso che ha appena compiuto 100 anni! Così, per tutti, rimane il caro, vecchio Esame di Maturità. E sì, è già passato un secolo da quando – correva l’anno 1923 – il ministro Giovanni Gentile ha seminato il panico tra i maturandi di allora, creando un esame conclusivo di fine studi secondari che oggi sarebbe percepito come crudele e vessatorio: quattro prove scritte (ad esempio al liceo classico erano previste una prova d’italiano, due di latino e una greco) e un esame orale che verteva su tutto il programma di tutte le discipline degli ultimi tre anni di studi. Tutto qui? No, parliamo della commissione: soli membri esterni, spesso docenti universitari. Risultato? Super selezione e bocciati a profusione. Cent’anni dopo, di questo schema non resta traccia: ipotizzabile soltanto come pesce d’aprile… E anche in questo caso potrebbe indurre qualcuno poco incline agli scherzi a fare appello alla Corte europea per i diritti dell’uomo

L’impianto gentiliano durò fino al 1937, quando, in prossimità della Seconda guerra mondiale, l’allora ministro dell’Educazione Nazionale (così si chiamava) Bottai, diede un po’ di respiro ai diciottenni italiani riducendo i programmi delle prove a quelli dell’ultimo anno di studi. Insomma, meglio di niente.. Sempre Bottai, tre anni dopo, nel 1940 – a pochi giorni dal discorso di Mussolini che dichiara l’entrata in guerra dell’Italia – modifica la composizione della commissione d’esami: soltanto docenti interni tranne il presidente e il vicepresidente.

Gli anni del secondo dopoguerra e della ricostruzione non produssero gioie per i nostri diplomandi. Al ministro Guido Gonella, nel 1951, venne la brillante idea di ripristinare l’esame di maturità di Gentile sia per le prove che per la Commissione. A parziale beneficio degli studenti, l’introduzione dei membri interni (prima due e poi soltanto uno) e la limitazione dei programmi del penultimo e terzultimo anno, dei quali venivano richiesti soltanto alcuni cenni.

Il periodo di maggiore stabilità – durata addirittura 25 anni – inizia nel 1969. Inversione di tendenza assoluta, il ministro Fiorentino Sullo così decreta: due prove scritte e due materie per il colloquio (di cui una a scelta del candidato, ma poi, in realtà, anche l’altra scelta dallo studente), punteggio finale espresso in sessantesimi, soppressione degli esami di riparazione e liberalizzazione degli accessi agli studi universitari. La commissione è completamente esterna supportata da un membro interno, percepito dai colleghi come “l’avvocato difensore” della classe. Figuratevi che queste nuove norme avrebbero dovuto avere una validità sperimentale di soli due anni… Insomma, tutti i sessanta/settantenni di oggi si sono diplomati così. Niente male, alla fine abbastanza semplice.

Nel 1994, col ministro D’Onofrio, di fatto non cambia nulla, solo i criteri per la nomina di presidenti e membri esterni della commissione.

Il vero, grande, cambiamento si verifica nell’anno scolastico 1998-99, con il ministro Berlinguer: intanto il cambio del nome di cui parlavamo all’inizio, poi si comincia a parlare di verifica e certificazione di conoscenze, competenze e capacità. Tre le prove scritte, di cui la terza predisposta dalla Commissione e colloquio su tutte le discipline dell’ultimo anno, il famoso “quizzone”. Inoltre, l’introduzione del credito scolastico e del credito formativo. La Commissione è composta da 6 o 8 commissari, di cui metà interni e metà esterni, più il Presidente esterno all’Istituto. Votazione espressa in centesimi: 45 punti alle prove scritte, 35 al colloquio orale, e 20 punti al credito scolastico.

Con Letizia Moratti ministro, venne il tempo di risparmiare sulle spese: commissione interamente interna e soltanto il Presidente esterno.

Nel 2007, Giuseppe Fioroni dispone il ritorno delle Commissioni miste, reintroduce l’ammissione all’esame, il credito scolastico sale a 25 punti e scende a 30 il punteggio del colloquio. Si attribuisce, dunque, un po’ più di importanza al percorso scolastico del candidato.

Saltando a piè pari i ministri Gelmini e Profumo che in ambito maturità non hanno prodotto grossi cambiamenti, arriviamo alla ministra Valeria Fedeli che invece, nel 2018-19, interviene con un certo fervore: abolizione della terza prova, rilevanza all’esperienza del PCTO (all’epoca, alternanza scuola-lavoro), riflessione su Cittadinanza e Costituzione (oggi Educazione Civica).il credito scolastico balza a 40 punti, mentre per le prove scritte e orali, si attesterà sui 20 punti.  

E vennero gli anni, tristi, del Covid. Della maturità dovettero occuparsi i ministri Azzolina e Bianchi, ma questa è storia recentissima che non stiamo qui a raccontarvi.

Tra qualche giorno inizieranno gli esami targati Valditara, che segnano il completo ritorno alla normalità: il credito scolastico torna a 40 punti (dopo i 50 del periodo pandemico), due prove scritte e un colloquio orale, durante il quale i candidati dovranno affrontare un’interrogazione a partire da uno degli spunti presentati dalla commissione, relazione sull’esperienza del PCTO e riflessione su un tema di Educazione Civica. 20 i punti per ciascuna delle tre prove. La commissione d’esame sarà composta da tre membri esterni e tre membri interni, con un Presidente esterno.

E’ un buon esame? Non lo è ancora? Lo sarà mai? Forse l’unica certezza, come sosteneva Marco Aime nel suo saggio del 2014 per le edizioni Einaudi “La fatica di diventare grandi. La scomparsa dei riti di passaggio”, è che l’esame di maturità ha perso la sua “sacralità”, vittima anch’esso del graduale ma ineluttabile disfacimento del confine tra giovani e adulti, che ha depotenziato il carattere rituale del passaggio tra due mondi esistenziali, lasciando l’adolescente privo di punti di riferimento stabili e dai contorni definiti.

Gabriele Ferrante

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