Di fronte ai tanti piccoli terremoti che stanno scuotendo la scuola italiana, compreso l’ultimo concorso a cattedra con tanti bocciati e test errati per negligenza di chi doveva controllare, ci è tornata in mente la nobile figura del prof. Carmelo Franzò, descritta tra le pagine dell’ultimo romanzo di Leonardo Sciascia: Una storia semplice.
La ricordiamo, questa figura, non solo per la sua profonda sapienza, ma soprattutto per il rigore morale con cui ha affrontato il caso dell’omicidio del suo vecchio amico, rivelando doti etici ed esistenziali che ci hanno indotto a riflettere sul ruolo e la funzione dell’educatore nelle scuola italiana, ponendo nello stesso tempo una domanda: e se tutti i docenti fossero come questo professor Franzò? E se tutto il corpo docente avesse una così netta percezione del rapporto che la cultura ha nella vita di ogni giorno e in casi così abnormi, avremmo tanta accanita balordaggine per le strade e tanta diffusione di scandali e tanto malgoverno?
Ma un altro pensiero e un’altra domanda ci ha interessato alla fine della lettura del romanzo di Sciascia: come si sarebbe comportato il nostro personaggio nella scuola del Terzo millennio, pervasa dall’autonomia amministrativa e didattica, dagli accorpamenti, in preda alla burocratica compilazione di schede, registri, griglie e soprattutto immersa nel mare magno di sperimentazioni, Dad, circolari cervellotiche, dirigenti manager? Cosa avrebbe fatto il severo prof. Franzò in una scuola nella quale passano tante migliaia di euro sotto il naso dei docenti per Pon, Por, Fse e in ultimo anche quelli del Pnrr, senza averne la minima percezione? Si sarebbe fatto eleggere per una carica di dirigenza per gestire ingarbugliate carte burocratiche, gite scolastiche, corsi post-diploma, funzioni obiettivo, coordinatore, ecc. ecc.? E come avrebbe gestito gli esami di stato o un concorso a cattedra di fronte a una raccomandazione visibile o ad un compito presumibilmente copiato? E ancora: quale strategia avrebbe usato per garantirsi la cattedra se questa fosse traballante, poniamo, a causa di poche iscrizioni o perché una scuola paritaria fa la concorrenza o per qualche altro motivo?
Si dirà che i personaggi di fantasia hanno poca dimestichezza con la realtà.
Tuttavia ci pare, per certi versi, che Franzò sia il prototipo culturale ed educativo di ciò che il “docente-maestro” dovrebbe rappresentare, non solo per l’alunno, ma anche per la società nel suo complesso. Nel senso che tanti comportamenti alla fine possono essere riconducibili all’esempio dell’educatore, oltre che alle sue parole. E Sciascia questo lo sapeva bene, vista la sua vera formazione professionale, quella di maestro, tanto da creare proprio il personaggio del vecchio docente che, con le sue domande, di maieutica socratica, conduce il poliziotto-discente a svelare il mistero.
Pensiamo allora che la funzione docente debba necessariamente recuperare innanzitutto il suo valore e il suo peso culturale, nel senso proprio della sapienza, della conoscenza, quello più pregante dei contenuti. E anche da qui forse anche il recupero del proprio ruolo nella società.
E’ vero tuttavia che la didattica ha valore strategico, ma se essa non è supportata dalla conoscenza vera e tangibile di una solida cultura, qualunque insegnamento sarà destinato a fallire o comunque a non essere incisivo, stabile; e il risultato, si potrebbe dire, è visibile nella percentuale scarsissima di libri e giornali che si comprano nel nostro Paese di cui la scuola è lo specchio. E il risultato ancora più visibile sta nelle lamentele dei rettori delle università che raccolgono ogni anno diplomati sempre meno preparati, come dimostrano gli ultimi test per l’ingresso a medicina.
Ci pare allora che qualunque cosa il Ministero possa ideare, qualsiasi strategia possa inventare per migliorare la qualità dell’insegnamento, alla base di questa architettura è imprescindibile quella “sapienza” che ci ha restituito un prof. Franzò illuminista e illuminato, consapevole del suo ruolo nella società e di quello delle altre istituzioni, indagatore dell’animo umano e interprete delle sue mille varianti.
Per educare alla legalità, per educare alla conoscenza, e quindi alla lettura anche del semplice quotidiano, è indispensabile che sia l’educatore innanzitutto “specchio” di tutto questo, sia l’educatore “esempio” di vita improntata al “rigore“morale e al rispetto intransigente delle Istituzioni, quando esse sono ispirate alla democrazia e alla libertà.
Si possono immettere sul mercato della scuola nuovi e più accattivanti “cicli”, si possono introdurre aule multimediali e mille laboratori, si possono fare cento sperimentazioni, ma la scuola ruoterà sempre attorno al “maestro” che, se non conoscerà il dato reale nelle sue cento sfaccettature, non potrà mai capire e intervenire per curare e migliorare, ma soprattutto per spingere a cercare la conoscenza che consentiva a Socrate di sapere, almeno, di “nulla sapere”.
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