Sono un’insegnante originaria di Fiorenzuola, cittadina piacentina che è stata flagellata dal Covid e ha quintuplicato i decessi dal 2020 al 2019. Insegno in un istituto tecnico nella vicina Fidenza, Parma, sempre nel cuore della zona rossa.
Durante un corso di formazione, mi si chiede un’autobiografia cognitiva, con la seguente domanda: Individua nella tua esperienza di questi mesi gli episodi di successo e di insuccesso. Ecco la mia risposta.
Questi tre mesi per me non sono fatti da successi o insuccessi.
Questi tre mesi hanno gli occhi della mia alunna Klaudia: occhi spaventati sul suo splendido viso, alla 3° ora di lezione di venerdì 21 febbraio 2020: “Prof. hanno trovato il paziente zero, forse nella sua Fiorenzuola”. Stavamo facendo lezione sul disastro di Chernobyl dell’86, con le persone diventate radioattive e quindi tenute a distanza, isolate. Mai avrei immaginato che l’isolamento – nel giro di poche ore – diventasse reale per me, per la mia città.
Gli alunni li tocco spesso sulla spalla, come segno di incoraggiamento; mi ci avvicino sempre, perché non amo trincerarmi dietro alla cattedra. Ora sarò chiamata a trovare modi alternativi per vivere la vicinanza, nella distanza.
Questi tre mesi sono le parole dei miei alunni di Quinta Meccanica che mi vedono piangere dallo schermo, perché sono vicina al cellulare e non posso non guardarlo e mi avvisano che è morto il mio padrino Tino. Stavamo trattando Pirandello, le maschere, le convenzioni sociali, le forme che fermano il flusso caotico della vita. Ho detto ai ragazzi: scusate, mi devo togliere la maschera da professoressa, per un attimo concedetemi di essere solo io, Donata. Una volta chiusa la videolezione, mi è arrivato questo messaggio.
Non sappiamo bene da dove iniziare, non siamo bravi in queste cose.
Ci è dispiaciuto molto vederla così stamattina, e ci dispiace non averle detto nulla per cercare di tirarle su il morale.
Come si diceva stamattina, le persone cercano sempre di mostrarsi forti davanti agli altri, ma certe volte è impossibile.
Ci riteniamo fortunati per il fatto che lei si sia aperta con noi, senza indossare nessuna maschera. Si dice che non si conosce una persona finché non la si vede nei momenti di difficoltà, e forse è vero.
Siamo abituati a vederla sempre col sorriso, disponibile ad aiutarci per ogni cosa; ma a tutti capita di avere dei momenti di debolezza, è una cosa umana, e non bisogna vergognarsi.
Sappiamo che le parole non aiutano molto, però volevamo farle sapere che le siamo vicini, per ogni cosa, come lei c’è sempre stata per noi.
Spesso la vita ci mette di fronte a prove che sembrano quasi impossibili da superare, prove di cui non capiamo il motivo, non capiamo perché dobbiamo sopportare tale dolore.
Oggi fa male, farà sempre male, ma quella persona vivrà sempre nel suo cuore e la proteggerà dall’alto. Sarà in grado di rialzarsi, lei è forte, lo sappiamo. Oggi è un giorno buio, ma la luce in fondo al tunnel arriverà.
Ormai sono quasi 3 anni che è la nostra insegnante, ci ha visti crescere e c’è stata accanto in quelli che sono alcuni degli anni migliori della nostra vita, e la ringraziamo davvero di cuore.
Le siamo vicini, per qualunque cosa.
Con affetto, i suoi ragazzi della 5B Mecc. (Vorremmo scrivere “i suoi cuccioli” ma non è un termine che ci si addice molto)
Non posso dissociare i 3 mesi di Dad dai 3 mesi di vita. E non solo perché i miei studenti sono entrati in casa mia ed io in casa loro.
La Didattica a distanza è stata un surrogato della scuola. Certo, ne ho vissuto le potenzialità e colto le opportunità, ma so che la presenza, il contatto fisico, visivo, il ritrovarsi collettivo, i riti della scuola sono INSOSTITUIBILI.
La DAD può solo integrare o fare da stampella all’insegnamento autentico, quello dove il maestro ti accompagna, ti prende per mano, cammina con te: non era questo il pedagogo?
Ecco: per evitare di stare nel chiuso delle aule, dall’anno prossimo potremmo tornare a stare fuori, in uno spazio aperto, dove possiamo respirare, guardare, o immaginarsi qualcosa oltre la siepe. Uno spazio dove posso voltarmi perché ho sentito un rumore e questo non è considerato distrazione, ma attenzione su qualcosa. E può diventare persino spunto per una lezione.
In molti di noi hanno compreso quanto sia difficile stare davanti ad uno schermo e ascoltare qualcuno che parla e tu non sei motivato ad ascoltarlo. perché prosciugato da ore davanti allo schermo. Così, anziché costruire bellissime lezioni fatte di ottimi ragionamenti, da un certo punto in avanti mi sono messa ad ascoltare i ragazzi. Non li ho interrotti quando sbagliavano una parola, ma ho lasciato finissero e solo al termine del discorso ho suggerito alcuni cambiamenti per renderlo più efficace.
Abbiamo capito che il discorso prima di essere un oggetto di valutazione, è un mezzo di comunicazione. E che come tale può essere migliorato. Il miglioramento, quello sì, può essere valutato (per dargli valore, perché quando si valuta si valorizza).
Ho ascoltato anche fuori dai confini dell’orario scolastico. Un alunno (forse questo non è politicamente corretto) lo ho ascoltato la sera tardi, il giorno stesso in cui ha perso suo padre. Beppe aveva bisogno di ascolto, proprio in quel momento. Non potevo chiedermi se era giusto chiamarlo e cosa avrei potuto dirgli. Non ho detto nulla per consolarlo, c’ero e basta.
Donata Meneghelli
docente di scuola secondaria superiore a Fidenza (Parma)
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