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L’essenzialità dei “motivi aggiunti” e la trasparenza negata

Come un gigante dormiente in attesa di mostrare il suo empito distruttivo, le Ordinanza del TAR Lazio n. 10866 e n. 10868 dell’11 settembre 2019 hanno nuovamente destabilizzato gli esiti della procedura concorsuale per il reclutamento di dirigenti scolastici.

Lo spasmo di quanti a titolo diverso attendono la pronuncia nel merito del Consiglio di Stato si rinnova nella consapevolezza che, entro il margine temporale dilatato dal 17 ottobre 2019 al 12 marzo 2020, si annidano censure dalla portata invalidante: la prospettazione di “motivi aggiunti” sembrerebbe infatti confermare l’orientamento giurisdizionale dell’annullamento e la fondatezza di quelle doglianze che nel ricorso introduttivo, necessitando di una complessa attività istruttoria, sono state momentaneamente disattese. E così, l’immissione in ruolo dei vincitori con riserva, avvenuta quasi nella rimozione (psicologica, non di certo giuridica) della sentenza dello scorso 2 luglio, vacilla nella decisione del Collegio di disporre gli “incombenti istruttori”, alla luce degli “specifici ed articolati motivi di ricorso”.

Ciò premesso, non è mera formalità rituale impugnare “ogni atto connesso, presupposto o conseguente, quand’anche sconosciuto”: è proprio la programmatica volontà del MIUR di opacizzare l’architettura organizzativa, procedurale e gestionale del concorso a suffragare le ragioni dei ricorrenti.

In penombra, si sconfessa altresì il dogma della discrezionalità valutativa per dimostrare con inaspettata elementarità che le sottocommissioni esaminatrici hanno operato secondo criteri latamente soggettivi, sia perché solo impropriamente è ammissibile ipotizzare l’utilizzo di “griglie di valutazione”, posto che sono stati forniti solo indicatori privi di descrittori, sia perché elaborati palesemente lacunosi e parziali sono stati valutati positivamente.

L’evidenza imbarazzante di tale contraddizione non è motivabile né ricorrendo a quell’irriducibile margine aleatorio che pur “contamina” l’oggettività statistica, né al mero errore materiale, invocato talvolta per “sanare” a posteriori disfunzioni non emendabili.

Insomma, le prove degli aspiranti dirigenti non sono state ritenute idonee da Sottocommissioni prive di quei presupposti deontologici propri di un collegio giudicante, né si confuti tale eccezione: in qualità di docenti, ciascun candidato, quandanche non ammesso all’orale, conosce bene le dinamiche sottese e connesse ai processi valutativi. Sarà forse per tale motivo che a data odierna il MIUR ha negato l’esercizio del diritto di accesso a quanti abbiano presentato istanze ostensive, pur vantando un interesse “diretto, concreto e attuale”.

In un primo momento, l’argine difensivo-omissivo avverso le numerosissime e legittime domande di accesso si è concretato nella figura giuridica del differimento, cosicché, nel “[…] nel preminente pubblico interesse di assicurare celerità, speditezza e sostenibilità”, pur riconoscendo le “[…] facoltà partecipative e/o oppositive e difensive attribuite dall’ordinamento a tutela della posizione giuridica qualificata di ricorrente” (Avviso del 19/04/2019), il MIUR si è appellato alla Circolare n. 2/2017 del Dipartimento della Funzione Pubblica, ove il diniego di tale diritto è ammesso qualora l’attività di elaborazione di dati “[…] comporterebbe per l’amministrazione un onere tale da compromettere il buon andamento della sua azione”. Pertanto, a tal data, il MIUR blindava una procedura invalidata ab imis, garantendo l’accesso ai soli atti concernenti il richiedente, almeno fino a quando non si sarebbe concluso il concorso con l’approvazione della graduatoria generale di merito. Eppure, neanche dopo il primo agosto, gli istanti hanno potuto esercitare tale diritto, benché esso abbia portata generale e sia intrinsecamente correlato ai canoni costituzionali di imparzialità e di buon andamento. Che sia configurabile il reato di rifiuto o omissione di atti di ufficio?

Il principio di trasparenza, cristallizzato come presupposto ontologico dell’agere publicum, assurge a livello essenziale di prestazione, garantendo moduli di partecipazione civica viepiù ampli, al fine di sostantivare l’imparzialità dell’attività amministrativa sotto il duplice profilo della soggettività (come funzione ad essa immanente) e dell’oggettività (dal punto di vista procedimentale).

Sul versante propriamente normativo, il Legislatore ha inteso preservare due canali paralleli per l’accesso ai documenti: uno riservato a chi debba tutelare una situazione giuridicamente rilevante; l’altro svincolato dall’obbligo di motivazione e di legittimazione specifica. Non si comprende, dunque, il motivo per cui si precluda al ricorrente l’ostensione delle prove di candidati ritenuti idonei a procedura conclusa.

Con la reiezione delle numerosissime istanze ostensive, il MIUR ha artatamente equivocato la natura giuridica e le finalità sottese alle medesime, invocando l’art. 24, c. 3 della L. 241/1990, onde “non sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni”.

Tale diniego, invero, oltre a disattendere le dichiarazioni rese lo scorso 19 aprile, tradisce radicalmente una stagione normativa tesa a “sterilizzare” l’operato pubblico dalla superfetazione di interessi collusi, dall’opacità di un sistema che sovrasta il cittadino con assetti decisionali non “partecipabili” nella duplice accezione di non conoscibilità e di segretazione resa necessaria dalla natura non imparziale del procedimento valutativo. Non tacitabile è poi la percezione soggettiva dei numerosi ricorrenti cui l’Amministrazione abbia fornito la suddetta risposta (paradossalmente rappresentano comunque una “privilegiata” minoranza rispetto a quanti abbiano riscontrato solo l’ostilità di un perdurante silenzio omissivo), in quanto, conoscendo perfettamente le norme disciplinanti l’accesso agli atti – a dispetto delle inopportune osservazioni del Prof. Arcangeli – avvertono il peso di una doppia ingiustizia: l’esclusione dalla procedura per illegittimità formali e sostanziali e la disinvoltura con cui il MIUR seguita a violare principi saldamente incardinati nel tessuto normativo proprio in funzione anti-corruttiva.

Nel caso di specie, il diritto di accesso agli atti non soggiace a nessuna interpretazione restrittiva della norma, escludendosi in radice l’esigenza di garantire la riservatezza di terzi: infatti, trattandosi di una selezione pubblica, i controinteressati (nel nostro caso i vincitori con riserva) non possono opporre stringenti ragioni di tutela della privacy, poiché la volontaria partecipazione all’iter concorsuale implica ipso facto che i dati possano essere visionati da terzi. In tal senso, la giurisprudenza amministrativa, in modo pacifico, ritiene che curriculum, elaborati, prove, verbali e quant’altro concerna una selezione di carattere pubblico, possano essere visionabili ed estraibili in copia, ai sensi e per gli effetti della citata normativa.

Peraltro, è proprio la natura intrinseca di “concorso pubblico” a presupporre l’esistenza di una procedura in cui si instaurano rapporti non solo tra il singolo candidato e la Pubblica Amministrazione, ma anche fra gli stessi esaminati, tal che è inevitabile la formazione di un giudizio di relazione. L’accesso alle prove degli altri concorrenti è dunque pienamente legittimo, posto che “[…] i concorrenti, prendendo parte alla selezione, hanno acconsentito a misurarsi in una competizione di cui la comparazione dei valori di ciascuno costituisce l’essenza” (Tar Puglia Bari Sez. III, Sent., 25.02.2010, n. 684). (TAR Lazio, Roma, 08.07.2008 n. 6450; TAR Campania, Napoli, sez. V, 10.03.2005 n. 1688; 10.10.2002 n. 6256; C.d.S., sez. IV, 13.01.1995, n. 5; 31.10.1997, n. 1249).

Le conclusioni sono deducibili dall’evidenza dei fatti in parola: mentre si tenta di comprimere diritti coessenziati alla natura democratica delle nostre Istituzioni, si conferma viepiù la fondatezza delle ragioni che hanno determinato l’annullamento della procedura e la legittima aspettativa dell’immediato ripristino della giustizia. Non è accettabile alcuna violazione di legge da parte di istituzioni che dovrebbero piuttosto incarnarla nell’esemplarità dell’operato quotidiano.

Comitato Trasparenza è Partecipazione

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