Al Presidente del Consiglio dei Ministri
Matteo Renzi
Spett.le Presidente,
la scrivente è una docente calabrese reduce da un’esperienza concorsuale a dir poco sconcertante: il concorso a preside 2011. In qualità di cittadina interessata al buon andamento della pubblica amministrazione, sento il dovere di portare alla Sua attenzione una realtà scandalosa del nostro Paese, cioè la cattiva gestione dei concorsi pubblici.
Signor Presidente, essendo Lei notoriamente una persona che apprezza il parlare diretto, Le scrivo per dirLe, e perché, in Italia non si ha più fiducia nella macchina concorsuale. E la sfiducia della gente non è certo un sintomo di buona salute per uno Stato che voglia dirsi davvero democratico.
Premessa
Si legge nei libri che l’attività amministrativa deve essere improntata ai principi di trasparenza, buon andamento, imparzialità e ragionevolezza, in ragione dei quali la P.A. deve agire in modo da evitare decisioni arbitrarie e irrazionali. Ecco perché il cittadino dovrebbe sempre poter guardare con fiducia all’operato dei pubblici uffici.
Ma nel momento in cui tra il “dire” e il “fare” si mette di mezzo il mare, e la fiducia del cittadino nel pubblico operato viene meno, chi ha la responsabilità di governare non può esimersi dall’indagare sulle cause del problema per poter adottare gli opportuni rimedi.
Cronaca di concorsi-disastro
Che il concorso pubblico sia un istituto in crisi lo dimostrano i fatti. Tra proteste, denunce, inchieste giudiziarie, sospensioni e annullamenti, la cronaca recente dei pubblici concorsi sembra un bollettino di guerra. Qualche esempio.
Il famigerato caso catanzarese del concorso per avvocati finì nelle aule di giustizia per le irregolarità denunciate da candidati che avevano partecipato alla prova scritta. Veniva segnalato che la commissione aveva dettato a tutti lo svolgimento delle tre prove. Ne seguì un’inchiesta penale che coinvolse migliaia di concorrenti, oltre ai membri della commissione.
Nel 2010 sono state annullate le prove del concorso per notai perché uno dei testi della prova scritta sarebbe stato molto simile a quello di un’esercitazione effettuata nei giorni precedenti in una scuola notarile romana.
Nel 2011 il Tar di Reggio Calabria accoglieva il ricorso avverso l’esito della prova pratica del concorso indetto dal Consiglio Regionale della Calabria, per il reclutamento di 33 operatori informatici. Oggetto del ricorso erano state la conduzione e la valutazione della prova pratica, nonché la violazione del principio di anonimato.
Nel giugno 2012 è stato sospeso il concorso per avvocati dello Stato per gravi irregolarità nella sorveglianza e nell’intera procedura. Si apprendeva dai giornali di una vera e propria rivolta scoppiata tra i candidati, dopo aver scoperto che alcuni colleghi, tra cui nomi noti, erano riusciti ad entrare nelle aule con dei codici commentati , assolutamente vietati. Per sedare gli animi si è reso necessario l’intervento della Polizia.
Numerose segnalazioni sono pervenute alla Procura della Repubblica su presunte irregolarità nel concorso per l’assunzione di guardie forestali: dall’assenza di controlli durante la prova scritta all’ incompatibilità di un componente di una sottocommissione.
Alla Procura sono state denunciate persino irregolarità nel concorso in magistratura, durante la cui prova scritta c’è stata una vera e propria sollevazione da parte di canditati che protestavano contro l’operato degli addetti alla sorveglianza. Dopo due giorni di controlli e code interminabili per accertare la regolarità dei testi portati nelle aule d’esame, alcuni aspiranti magistrati hanno scoperto sui banchi di loro colleghi materiale “illecito”, come fotocopie, fisarmoniche, codici commentati.
Nel 2012 i tribunali amministrativi giudicavano illegittimo un concorso per dirigenti della Regione Lombardia, mai apparso in Gazzetta ufficiale, vinto da 31 persone: fra di loro anche il nipote di un vescovo e molti esponenti del movimento Comunione e Liberazione . I trentuno vincitori di questo concorso irregolare sono rimasti al loro posto.
Il concorso a preside 2011 è stato annoverato tra i capitoli più infausti della storia nostra amministrativa. Una vicenda assai controversa, che ha visto insorgere un esercito di ricorrenti, da Nord a Sud, e che ha contribuito non poco ad alimentare lo scetticismo dell’opinione pubblica nei confronti dei concorsi statali.
Questo concorso era stato inizialmente propagandato come una sorta di “fiore all’occhiello” della P.A., una promessa di efficienza organizzativa, un modello meritocratico che avrebbe valorizzato le conoscenze e i titoli, come corsia preferenziale per accedere ai ruoli dirigenziali. Tanto da favorire il proliferare di corsi e master specialistici riconosciuti dal Miur, equivalenti a consistenti punteggi nelle graduatorie di merito. Invece, il concorsone si è rivelato un vero e proprio “pasticciaccio”, a causa delle molte “irregolarità” lamentate in ogni sua fase: anomalie nel bando, fughe di notizie, errori nei quiz preselettivi, buste trasparenti, inadempienze, collegi imperfetti, incompatibilità nella composizione delle commissioni.
Sconcertante la mappa dei pronunciamenti giurisdizionali che hanno riconosciuto fondate le argomentazioni dei ricorrenti, con conseguenti sospensioni e annullamenti, gettando inevitabilmente nel caos il mondo della scuola. Mentre in Sicilia (già reduce dall’ annullamento del concorso 2004) la Corte dei Conti ricusa 118 contratti “irregolari” di dirigente scolastico, i tribunali regionali annullano l’efficacia degli atti concorsuali in Lombardia, Campania, Molise e Abruzzo. La palla passa al Consiglio di Stato che annulla la valutazione delle prove scritte in Lombardia, affidando la nuova correzione ad una diversa commissione. L’ultimo colpo di scena si registra in Toscana, dove il concorso viene annullato con sentenza del Consiglio di Stato 3 marzo 2014, n 990.
E che dire dei risvolti penali? Inquietanti. Il concorso per dirigenti scolastici non si è fatto mancare nulla, specialmente al Sud. In Basilicata, i militari dell’Arma hanno sequestrato le prove scritte del concorsone, a seguito della denuncia di un candidato escluso, il quale, dopo aver letto gli elaborati degli ammessi alle prove orali, si è presentato al comando dei Carabinieri, manifestando il sospetto che qualcuno degli idonei, nonché dei presidi già immessi in ruolo, fosse stato favorito oltremisura.
In Sicilia, a seminare il terrore nell’ambiente scolastico sono stati un file e un corposo esposto, finiti sul tavolo della Procura di Palermo e della Digos. E’ stata avviata quindi un’inchiesta su presunte raccomandazioni e assunzioni clientelari di “un concorso farsa che ha fatto fuori i meritevoli per fare accedere al ruolo di dirigente persone segnalate”, come hanno denunciato sui giornali alcuni candidati esclusi, “stufi di subire le angherie dei soliti noti”.
Di recente, si è scatenata la bufera anche sul concorso in Campania, con avvisi di garanzia emessi dalla Procura di Napoli nei confronti di venticinque persone, tra cui commissari d’esame, vincitori di concorso, dirigenti amministrativi e sindacalisti. Le indagini delle Fiamme Gialle hanno preso le mosse da una serie di denunce circostanziate, in cui si riferiva di un componente della Commissione che risultava referente di un sindacato; di un altro che era stato sia docente che membro del comitato scientifico di un corso di preparazione al concorso; di un altro commissario che aveva svolto un master di preparazione al concorso e, inoltre, si segnalava il fatto che tra i partecipanti al master ci fossero nove candidati risultati poi vincitori del concorso. Dalle intercettazioni telefoniche è finanche emerso che qualche personaggio avrebbe chiesto la somma di 100mila euro per assicurare ad alcuni suoi discenti il superamento di tutte le prove del concorso per dirigente scolastico.
Anche nella mia regione, la Calabria, dove la gente è caratterialmente incline a rassegnarsi dinanzi alle ingiustizie, si è scatenata una tempesta di ricorsi e denunce senza precedenti, da parte di candidati che hanno avuto accesso ai documenti concorsuali. Secondo i tribunali amministrativi, nel concorso calabrese non c’è nulla di irregolare, sul piano formale. Eppure,
nessuno ha ancora dato risposta ai molti busillis emersi. Dalla lettura di compiti e verbali è spuntato fuori di tutto e di più: giudizi egregi attribuiti a temi infarciti di mega-strafalcioni; giudizi orridi nei descrittori linguistici appiccicati a compiti dove non si riscontra nemmeno l’ombra dell’ “errore morfosintattico”; elaborati giudicati “idonei”, in cui intere pagine sono risultate identiche al contenuto di libri e temari; tempi di correzione inverosimili, e altro ancora…
Queste notizie inerenti la Calabria non le ho apprese da internet, ma sono di prima mano, essendo la sottoscritta una dei tanti che hanno visionato gli atti e bussato alla porta della Giustizia. Carta canta, signor Presidente, e lo sa bene chi a suo tempo tuonò querela, ma non ha mai mantenuto la promessa!
Considerazioni
Dinanzi agli evidenti guasti della macchina concorsuale, il comune cittadino non può fare a meno di chiedersi in che cosa consista concretamente il “buon andamento” sancito dalla Costituzione.
Chi governa dovrebbe chiedersi come mai gli organizzatori di una selezione pubblica non riescano a gestirne tutte le fasi in maniera politicamente corretta, in modo da non suscitare nei partecipanti alcun sospetto di illegittimità.
Forse è tempo che i nostri legislatori si decidano a mettere mano all’ istituto del concorso pubblico. Ma non per abolirlo, come qualcuno va predicando, sulla scia di modelli in vigore in altri Paesi molto distanti da noi, e non solo geograficamente. Se in Italia lo scenario concorsuale è davvero quello scempio che si presenta ai nostri occhi digitando su Google le parole “concorsi truccati” (provare per credere), allora ipotizzare per esempio una “chiamata diretta” per reclutare i dirigenti scolastici – mi consenta il traslato un po’ colorito – sarebbe proprio come dare al ladro la chiave di casa. E qui mi viene in mente la celebre pasquinata romana: “Ciò che non hanno fatto i barbari l’ hanno fatto i Barberini”.
Per carità! Lunga vita al concorso pubblico, che resta ancora l’ unico strumento potenzialmente in grado di selezionare il personale della P.A. in modo meritocratico, a prescindere da “amicizie” e interessi personali.
Se la macchina concorsuale funziona male significa che ci sono dei difetti gravi che vanno assolutamente rimossi. Ed è necessario capire dove stia il vero problema: se a valle, nella mala fede di chi è chiamato ad applicare le leggi, oppure a monte, nella lacunosità degli stessi regolamenti che, evidentemente, non danno sufficienti garanzie di correttezza e di etica comportamentale, non riuscendo a contenere gli eccessi di discrezionalità delle commissioni.
Non metto in discussione la normativa sui concorsi, perché non sono esperta di leggi. Credo, però, che l’ anello debole del sistema, su cui bisognerebbe intervenire con un drastico giro di vite, sia la mancanza di controllo sulla scelta e sull’operato delle commissioni esaminatrici, le quali in sede di correzione delle prove scritte lavorano in segreto, senza essere viste da nessuno. Ragion per cui nessuno sa cosa accada realmente in quei frangenti.
Il punto è che la P.A. confida nella correttezza dei commissari che la rappresentano. Cosa sacrosanta, in teoria. Ma in pratica, mi domando, è giusto continuare a dare fiducia ad un sistema distorto, che questa fiducia l’ ha tradita tante volte? Almeno stando a quanto ci racconta la cronaca, sbattendoci quotidianamente sotto gli occhi concorsi truccati e commissioni che non hanno timore di calpestare le leggi, celando il proprio libero arbitrio dietro la discrezionalità tecnica.
Si deve avere il coraggio di prendere il toro dalle corna e chiedersi: in Italia le cose non vanno perché le norme sono lacunose o perché il funzionamento della Cosa Pubblica è affidata a persone che la trattano come fosse un’ impresa a gestione familiare?
Basta leggere su blog e forum le testimonianze di chi denuncia illegalità di ogni genere, per rendersi conto di come il principio che regola il funzionamento dei concorsi, in barba ai dettami costituzionali, sia quello della raccomandazione. Per non dire corruzione e malaffare.
Con questo non voglio dire, intendiamoci, che tutti i concorsi siano “viziati” e che a superarli siano solo persone impreparate. Certo che no. Qualche volta, per fortuna, passa dal setaccio anche gente valida. E’ pur vero, come diceva un filosofo, che “anche un orologio fermo segna l’ ora esatta due volte al giorno”. Tuttavia, il fatto stesso che un candidato preparato senta il bisogno di scomodare il santo in paradiso- non diversamente da come fa quello impreparato- convinto in cuor suo che altrimenti non avrà nessuna chance di farcela, la dice lunga su quanto il merito sia tenuto in conto nel nostro bel Paese.
E’ ora di estirpare alla radice questo malcostume, se si vuole impedire che il concorso pubblico si trasformi, puntualmente, in una causa legale senza fine. E soprattutto se si vuole ottenere che il merito, sempre cacciato dalla finestra, rientri dalla porta principale come unico e solo criterio di reclutamento nei ruoli della P.A.
Se ciò non avverrà, si continuerà ad avere una pubblica amministrazione malata di nepotismo e di corruzione, che continuerà a sfornare dirigenti ignoranti, incompetenti e pronti al compromesso, in un circolo vizioso destinato a incancrenirsi.
E una volta che il danno è stato fatto, non è facile chiedere il conto ai responsabili. Non resta che affidarsi ai tribunali penali, con il rischio di veder passare anni prima di giungere ad una sentenza definitiva. Mentre, nel frattempo, il morbo si aggrava e negli uffici della P.A. continua ad avvicendarsi gente sempre più raccomandata e incapace.
Se un ponte crolla, signor Presidente, si indaga l’ ingegnere che ha mal fatto il progetto. Se un paziente muore sotto i ferri, si mette sotto inchiesta il chirurgo. Ma se in un ufficio di dirigenza si siede in poltrona un personaggio incolto, incompetente, che abusa del proprio potere, in questo caso chi lo paga il danno?
Chi governa non può non sentire il dovere di dare una seria raddrizzata ai concorsi pubblici, per tutelare il buon andamento della macchina amministrativa e la dignità dei candidati onesti. I quali non devono passare per “polli”, sol perché non hanno piegato il capo alla logica del favoritismo. E non possono accettare che anni di studio e preparazione vadano in fumo, mortificati tra le pagine di un elaborato che non viene neppure letto!
Cosa fare?
Questa spirale va assolutamente spezzata. Chi legifera dovrebbe escogitare un qualche sistema di vigilanza sull’operato delle commissioni che, senza entrare nel merito del giudizio insindacabile, si limiti a controllare la correttezza formale delle procedure concorsuali. A partire dalla fase più “oscura” di ogni selezione, cioè la correzione delle prove scritte. Meglio ancora se la correzione degli scritti fosse resa pubblica, come già avviene in certi tipi di concorsi.
Il controllo bisognerebbe estenderlo, ex lege, a tutti i concorsi. Perché se è vero che fidarsi è bene, è anche vero che a pensar male spesso si indovina. Fatto sta che in sede di correzione degli scritti i membri di commissione, se vogliono, possono fare il bello e il cattivo tempo “selezionando”, con modalità imperscrutabili, chi dovrà superare l’ esame e chi no.
Infine, ma non da ultimo, vorrei segnalare un altro punto debole delle pubbliche selezioni, spesso (ipocritamente) ignorato, forse perché sembra venale, ma non lo è: il governo dovrebbe investire di più nella remunerazione delle commissioni esaminatrici. Esse, infatti, attualmente percepiscono un compenso a dir poco irrisorio per far fronte ad un compito molto importante e impegnativo. Il timore non infondato è che, se lo stato continuerà a pagare 50 centesimi lordi per la correzione di un elaborato, in fase di composizione delle commissioni i professionisti più onesti e impegnati prenderanno sempre di più il largo, cedendo il posto a gente dalla morale elastica, che non si farà scrupoli ad “integrare” il misero compenso con gratificazioni di diverso tipo.
Con ossequio
Dott.ssa Antonella Mongiardo
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