Gentile Presidente,
mi chiamo Paola, ho 31 anni, ho conseguito due specializzazioni, una in lettere classiche e una in archeologia del mondo antico e sono iscritta dal 2011 in terza fascia (che oggi suona un po’come un nuovo girone dell’Inferno) e grazie all’amore che aveva una mia cara, giovane insegnante per questo mestiere, ho sempre sognato che da grande avrei fatto la professoressa, un sogno che purtroppo sta diventando difficilmente realizzabile e, nei momenti di maggiore sconforto, l’unico pensiero che mi viene in mente, è che bisogna avere un bel coraggio a volte a rimanere ancora in Italia, nella speranza che chi ci governa faccia una vera rivoluzione e cambi davvero le cose; ma la canzone è sempre la stessa, cambiano solo i “personaggi” che la interpretano.
Il termine “rivoluzione” pronunciato da lei più volte in riferimento al mondo della scuola significa letteralmente:
1 Rovesciamento radicale di un ordine politico-istituzionale costituito: lo scoppio della r.
2 estens. Trasformazione che si verifica in un settore d’attività o che investe la mentalità, la morale: r. tecnologica; r. dei costumi; innovazione culturale di vasta portata.
Sottolineo le parole “trasformazione” e “ innovazione”, che sono evidentemente sinonimi di “rivoluzione”, perché ancora non riesco a trovare un corrispettivo concettuale nel piano scuola emanato dal suo governo.
Perché dimenticate in fretta che molti ragazzi che oggi hanno la mia stessa età si sono ritrovati, freschi di laurea nel 2008/2009, l’unico accesso all’abilitazione per l’insegnamento, cioè le S.S.I.S., CHIUSO? Senza alcuna proposta alternativa, abbiamo abbassato la testa fino al 2012 quando è stato introdotto il tanto atteso TFA, che è stato svolto tra l’altro con le ore minime indispensabili (circa 40) al fine dell’esame finale, eliminando quindi molte ore previste da un preciso decreto ministeriale (ossia 475, pari a 19 crediti formativi).
Lei afferma che gli iscritti in terza fascia non possono essere considerati precari perché nella scuola non ci sono mai entrati; mi permetto di smentirla perché forse i supplenti, non solo entrano in classe, ma sono a volte più motivati di alcuni insegnanti di ruolo (per fortuna e si spera pochi) che, con il posto assicurato, si permettono anche di non fare lezione e di leggersi un bel giornale! Io stessa ho avuto un insegnante che lo faceva! Ovviamente non sono tutti così e non voglio fare assolutamente di tutta l’erba un fascio.
Forse una vera “trasformazione” e “innovazione” che potreste fare è cambiare innanzitutto il sistema di reclutamento con il test a crocette, che altro non è che un terno al lotto per vedere chi ha più fortuna e non per valutare effettivamente chi è più preparato e dare la possibilità a tutti di accedere ai concorsi, sempre ovviamente basandosi sul reale fabbisogno di insegnanti. Questo non è stato mai fatto, intasando letteralmente le graduatorie e ora a pagarne le spese, come sempre, sono i giovani disoccupati, di cui evidentemente questo paese non sa che farsene. Come possiamo allora pensare di competere con l’Europa se per i giovani non c’è mai spazio?
Ho trovato nella sua “buona scuola” delle espressioni infelici riferite a noi supplenti, come quando ci definisce degli “sconosciuti agli occhi dei ragazzi e non in grado di garantire una continuità didattica” ; scusi, ma chi lo afferma questo? Forse non sa che spesso la qualità può fare la differenza con la quantità.
Un altro paradosso tutto italiano che mi permetto di farle notare è questo: perché un anno di tirocinio formativo e un anno continuativo di supplenza non hanno la stessa equivalenza in termini di abilitazione? La risposta verrebbe quasi spontanea…
Una riforma della scuola va fatta sicuramente, ma dovete ricordarvi che molti di noi sono state vittime di un sistema sbagliato e di ministri incapaci e farci pagare ancora le conseguenze di decisioni sbagliate e finalizzate a chissà quali giochi politici, è un lusso che non potete più permettervi. Mi rispecchio perfettamente nelle parole di Enrico Mentana quando afferma che “i giovani italiani non essendo sindacalizzati non hanno voce nei tavoli in cui si decide il loro destino. In ogni trattativa o confronto siedono rappresentanti di lavoratori assunti, precari, cassintegrati, esodati e pensionati. Chi è dentro è dentro, chi è fuori non ha né voce e né chances…”. Io con questa lettera voglio provare a far sentire la mia voce e quella di molti altri che si trovano nella mia stessa barca, lettera che probabilmente non verrà mai letta, ma che vorrei lasci qualche riflessione in più prima di liquidare, a mio avviso troppo semplicemente, la questione “supplenti”.
La scuola che piacerebbe a noi insegnanti (anche se lei non ci considera tali, lo siamo), ai ragazzi e ai genitori potrebbe essere quella riassunta nelle parole di Karl Popper: “Sognavo di poter un giorno fondare una scuola in cui si potesse apprendere senza annoiarsi, e si fosse stimolati a porre dei problemi e a discuterli; una scuola in cui non si dovessero sentire risposte non sollecitate a domande non poste; in cui non si dovesse studiare al fine di superare gli esami. “.
La saluto cordialmente
Una supplente