On.le Ministro,
in oltre trent’anni di onorato e, a tratti, sofferto servizio dedicato all’ alta missione dell’educere, ho avuto modo di vivere diverse stagioni educative e importanti innovazioni che hanno segnato, nel bene o nel male, la vita della scuola italiana a partire dalla fine degli anni ‘ 70 ad oggi.
Per tacere di ogni altro aspetto che appartiene all’impenetrabile territorio del desiderabile, mi soffermo su una delle tante pressioni di alcuni opinionisti, non adeguatamente sostenute dai vari organi di partecipazione, e intorno a Viale Trastevere.
L’avvio della sperimentazione, sul modello finlandese, di far stare i ragazzi tutto il giorno a scuola con l’obiettivo di eliminare i compiti a casa, seppur finalizzata alla conoscenza di nuove vie da percorrere, affinché la scuola possa intervenire a vantaggio di tutti, costituisce, di per sé, incentivo per alimentare alcuni stereotipi e la conflittualità interna. Lo slogan “Zero Compiti” sostenuto da una esigua minoranza (24.000 firme contro una popolazione scolastica, dalla Primaria alla Secondaria di Secondo grado di circa 6 milioni di utenti), punta, infatti, alla cristallizzazione dell’agire educativo.
La scuola, sicuramente, soffre a causa di disfunzioni, lacune, disordini normativi, precarietà strutturali ecc. e, per questo, necessita di importanti cambiamenti in grado di restituire prestigio sociale ai docenti, offrire una conveniente istruzione e formazione, in linea con gli standard europei, a tutti gli alunni e colmare il gap che esiste tra la scuola italiana e i modelli educativi di altri paesi. Ma ciò non può avvenire senza una indagine e una valutazione critica delle ragioni che stanno determinando una caduta libera del nostro sistema scolastico.
Innanzitutto, bisogna prender consapevolezza delle difficoltà in cui versa la scuola e accertare la storia dei fatti. Se è vero che l’ industria culturale del nostro paese non dà più garanzia di successo, è anche vero che per portare la scuola oltre la crisi non sono sufficienti novità con il volto dell’innovazione, ma una vera e propria bonifica culturale dai tanti pericolosi luoghi comuni, per soddisfare pienamente il comune e inalienabile diritto allo studio e far raggiungere ai capaci e meritevoli, come recita la nostra Costituzione, i gradi più alti del sapere.
Non è possibile vincere le sfide senza un grosso impegno culturale che ci consenta di restituire lo studio e la formazione al loro autentico significato. Occorre, soprattutto, tornare a considerare la nostra storia, cultura e tradizione pedagogica, fino a qualche anno fa copiata e studiata da molti Paesi, come una risorsa a vantaggio delle generazioni presenti e future.
Non ha molto senso scommettere su parole-slogan innalzare vessilli, avallare gli umori e i malumori di alcune famiglie, se prima non si specifica e si chiarisce che cosa si intenda fare della scuola pubblica.
La scuola deve essere cultura, impegno culturale e generare cultura. La scuola ha fatto la storia dell’uomo, si è preso cura di lui, lo ha educato, lo ha formato, nella palpitante vitalità di un’esperienza e di un impegno personale e comunitario.
Non è pensabile una scuola senza la fecondità culturale dello studio personale, dell’ esercizio individuale svolto tranquillamente all’interno delle mura domestiche, anche quelle meno invitanti e stimolanti, dove le procedure e i processi cognitivi diventano esperienza, prassi, compiti di realtà.
Ogni singola individualità, come tanti rigagnoli, deve essere ben incanalata e orientata per poter alimentare il perenne corso della conoscenza e arricchirsi di quella saggezza operativa frutto di un ininterrotto tirocinio di apprendimento. Si capisce bene come la prassi della riflessione personale riesca tanto meglio e tanto più facilmente, quanto più sollecita è la forza strutturante del compito che mette in evidenza la conoscenza che l’alunno già possiede e quella appena acquisita.
Opporsi a questa consuetudine senza aver prima preparato e predisposto il terreno per lo sviluppo di una autentica metodologia sperimentale in cui gli alunni trovano tutto ciò che occorre alla loro vita e al loro sviluppo (sport, ricreazioni, spazi autonomi di studio e svago) e i docenti sono promotori di libere attività artistiche e culturali, è una follia pedagogica, è commettere un errore culturale e morale al tempo stesso.
Non c’è dubbio che bisogna guardare, soprattutto, ai contesti dove si svolgono le attività educative: strutture vetuste e prive delle più elementari norme di sicurezza, spazi angusti e, spesso, inospitali. In questa situazione vengono meno i requisiti essenziali perché le scuole possano fornire intenzionalmente agli alunni nuove modalità per la elaborazione delle conoscenze ricevute o raccolte.
Attualmente, il compito a casa è l’unica possibilità che lo studente ha di produrre esperienze ed elaborare informazioni, ovvero, per fare e per pensare: “agenda agendo discantur” (Comenio).