Cara senatrice Granato, leggo con attenzione la sua intervista pubblicata su La Tecnica della Scuola, così come leggo la lettera del collega Libero Tassella “Gli incontentabili di terza fascia”, in merito alle richieste dei precari in Terza fascia, o degli stessi Sindacati.
Lettera dove si sottolinea (e che qui riporto correttamente come cita lo stesso Tassella, sulle riviste on line): “No ad agevolazioni clientelari di categorie di insegnanti foraggiate dai partiti in cambio di voti in occasione di tornate elettorali in cambio di tessere, le famose scorciatoie come D.M e insensata l’attuale richiesta dei sindacati di procedure riservate non selettive che sono state accantonate dai sindacati […]”.
Ora, fermo restando che è corretto un reclutamento che veda nel concorso ordinario per esami e titoli selettivo l’unica e seria possibilità di ingresso nella professione docente, mi permetto di intervenire, senza presunzione alcuna, in merito al dibattito soltanto per il semplice fatto che chi scrive non appartiene a tale fascia, ma appartiene a quel mondo di persone che da 10, 15, 20/25 anni sono impegnati quotidianamente tra i banchi della Scuola, e mi si permetta di sottolineare in un impiego che ci trova quasi sempre in trincea, poiché la realtà scolastica è vissuto nell’entroterra o nei luoghi dove la SCUOLA non è di quelle che leggiamo sui libri ad uso per la preparazione dei concorsi, ma è fatta di ciò che si studia in tali testi, senza codificare i processi di apprendimento, di didattiche varie, di problem solving o di apprendimenti computazionali, poiché il diretto contatto e relazionale con i mondi così difficili, i cui contesti richiedono modalità soggettive, talvolta, ci farebbe anche inventori di metodologie didattiche atte alla possibile crescita umana prima di tutto, e poi di conoscenze e di competenze.
Sono le realtà che come tra noi si dice ci fanno martiri e guerrieri.
Chi scrive appartiene ai quei docenti, di ruolo e non di ruolo (ancora), che dal 2001 attendono un concorso che li abiliti agli insegnamenti per i quali hanno speso gli anni della gioventù alla formazione nell’acquisizione di un titolo che gli consentisse di aprire l’accesso al mondo della Scuola, e che invece si sono trovati a rimboccarsi le maniche, e a farlo ancor oggi, per essere all’altezza del compito richiesto in discipline per le quali appena erano conoscitori grazie o al diploma secondario (vedi i Laboratori) o che sono o erano riconosciute dal piano di studi del titolo steso di laurea.
Docenti, noi che umilmente e non in umiliazione, ci prestiamo al gioco indiscriminato della Politica che vorrebbe adesso, come afferma l’onorevole Granato, porre finse a quelle scelte di vie secondarie o clientelari che hanno da sempre generato “scorciatoie”.
E giustamente. Ma, credo, e qui il mio intervento, che per realizzare la ricomposizione di equilibri (di giustizia di merito?), non si può soprassedere alle tante realtà presenti della Scuola, ai tanti casi generati in modo obbrobrioso per i motivi su appena indicati. E incorrere nelle errore indignitoso di soluzione come il caso dei docenti Magistrale. Non è una colpa quella di essere docenti grazie al diploma o alla laurea che ti ha permesso l’accesso all’insegnamento.
Pertanto, secondo chi scrive, per una equità, una soluzione potrebbe pervenire prima della fase concorsuale che regola l’accesso all’insegnamento, l’idea dell’Onorevole Pittoni, di consentire a chi come noi da anni di ruolo e non di ruolo, ma presenti attivi ogni anno scolastico tra i banchi della scuola, di riconoscere gli anni di servizio (tanti, tantissimi) come abilitazione.
Per l’on. Pittoni, era un emendamento che offriva l’opportunità in fase di utilizzazione o assegnazione provvisoria, l’accesso a questa categoria di docenti, di occupare le cattedre restanti date in dotazione in questa sezione di mobilità, e riconoscere questo anno in assegnazione come anno di abilitazione.
Già così forse si sarebbe potuto e si potrebbe dare un aiuto alla soluzione al gravoso problema del precariato e al contempo riconoscere il lavoro secolare svolto dai tanti.
E ciò risponde al contempo ad un’altra considerazione dell’onorevole Granato: “I vecchi percorsi abilitanti sarebbero stati onerosi e avrebbero comportato una sperequazione di natura economica tra docenti pari merito. I percorsi speciali, tra l’altro, penalizzavano soprattutto i docenti del Sud dove il maggior numero di richieste favoriva il lievitare dei costi. Collegare queste procedure a un concorso riservato avrebbe comportato, poi, la certezza di incorrere in ricorsi. Ecco perché abbiamo deciso di prevedere che il nuovo concorso sia direttamente abilitante per chi lo supera”. E allora perché non dare un taglio alla testa del toro: scegliere diplomaticamente di operare come si è operato in merito ai docenti magistrale. Cosa più semplice per la POLITICA.
Detto ciò una domanda mi sorge spontanea: onorevole Granato e collega Libero Tassella, per un attimo appena, indossate i nostri abiti, in onestà, e rispondetemi se credete sia corretto e/o non vi fa arrabbiare il dover non soltanto vedersi non riconosciuto il proprio servizio secolare nella scuola, appunto dopo tanti tanti anni di insegnamento, e trovarsi a dover concorrere per abilitarsi all’insegnamento, e non certo per il “temere forse di non farcela contro i rivali neolaureati, freschi di studio e che, non essendo occupati al lavoro come loro, avrebbero più tempo per prepararsi”(Granato), ma soltanto per un principio di equità, o giustizia che in un certo senso andrebbe a realizzare il tanto agognato sogno di insegnare la disciplina per la quale tanto si è speso in tempo ore di studio e sacrifici anche e soprattutto di lavoro anche a casa. Disciplina per la quale sappiamo essere vocati e il cui contributo alla formazione delle nuove generazioni tanto di più potremmo dare (senza presunzione di sapere)?
La Buona Scuola portava in se l’articolo 4 comma 59, la fase transitoria per il reclutamento dei docenti. L’Unica cosa sensata. Il nuovo corso politico che lei on. Granato rappresenta, come scure la avete cancellata.
La TRANSIZIONE è nell’essere e nel farsi degli eventi e dnell’evoluzione stessa delle cose e della vita. La trasformazione radicale posta in essere dell’evoluzione obbliga a tale passaggio. Pertanto ritengo che “Bisogna, per giustizia, stabilizzare, attraverso un canale agevolato, tutti i precari, e i tanti di ruolo, che da tre e più anni, che hanno dato il loro impegno, la loro professionalità, la loro passione ed hanno fatto esperienza sul campo, consentendo il regolare svolgimento delle attività didattiche”.
Attendiamo la sentenza del 7 Maggio, e speriamo che questa volta ancora una volta la Giustizia faccia il suo corretto corso. E imponga alla Politica il dovere della GIUSTIZIA, o equità.
Io, noi, speriamo che ce la caviamo.
Mario Santoro
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