I lettori ci scrivono

Lettera aperta di un prof ai propri studenti

Care ragazze, cari ragazzi, un paragone che ricorre spesso in questi giorni di emergenza per richiamarvi allo sforzo e alla responsabilità personale è quello di una guerra che si vince con il contributo di tutta la nazione, anche vostro.

E allora, proviamo per un momento a scavare in questo paragone, a immaginarli quei vostri coetanei o quasi coetanei cui toccò nel secolo scorso farla la guerra? Proviamo a figurarceli, sprovvisti di ogni nostra comodità, trascinati all’improvviso a qualche centinaio di chilometri o più dalle proprie case, dai propri cari e amici, strappati alle proprie ordinarie esistenze; immaginiamoceli, gettati nel fango a strisciare tra i cadaveri nelle trincee, nell’odore fetido della morte che lasciava gli occhi sbarrati. Loro erano là, schiacciati dalla fatica, paralizzati dalla paura, attraversati dal gelo o dalla calura, assillati dalla fame, abbattuti dalle malattie e dal dolore fisico, con l’unico fine di lottare per i propri nonni, per le proprie famiglie, per i propri fratelli o amici. Era questo che significava per loro difendere la Patria, una parola che a noi forse non dice nulla e fa persino sorridere talvolta, ma che se riuscissimo a riempire dei loro pensieri e sacrifici, di quelle loro speranze e timori, forse potrebbe d’improvviso manifestarsi in un senso tangibile anche per noi, italiani dell’anno 2020.

La Storia, questa Signora che spesso ci appare tanto lontana ed estranea, non è nelle pagine di questo o quel manuale che portiamo nelle aule ma vive e rivive delle nostre singole azioni ed emozioni, scrivendo instancabilmente nuovi capitoli fatti di destini umani. Così, oggi, quella Signora sta chiamando voi, ognuno di voi, ad una prova epocale. Già. La Storia oggi non vi chiede di starvene per mesi o anni a chilometri dai vostri cari, ma ad un metro da loro per qualche settimana. La Storia non vi chiede di privarvi della vita per i vostri anziani nonni, ma di privarvi di un loro abbraccio, o di un aperitivo, di un’uscita, della visita di un’amica o di un conoscente. La Storia non vi chiede di strisciare nel fango umido o nei rovi della terra arsa tra i cadaveri dei vostri compagni, ma di rotolarvi tra le calde e morbide coperte del letto di casa, guardando una serie in streaming, ascoltando musica o leggendo un libro. La Storia non vi chiede di rinunciare alle vostre esistenze, ai vostri sogni personali o ai vostri progetti fondamentali, e nemmeno alla scuola, garantitavi a distanza, vi chiede invece di rinunciare a una festa di compleanno, ad una serata o a un caffè con la vostra comitiva, alla palestra o ad una partita di pallone. La Storia chiede a voi ragazze e ragazzi molto meno di quanto abbia chiesto ad altri vostri coetanei venuti prima di voi.

Qualcosa, tuttavia, vi chiede. Cosa? Cerchiamo di stabilirlo e definirlo, ragionevolmente, insieme? Tentiamo di dare a ciò un nome e qualche attributo che non risultino meri suoni? Noi genitori e docenti sappiamo che a tutto ciò che vi viene chiesto, nel pieno rispetto delle vostre vite e dei vostri comprensibili bisogni, va dato il giusto e autentico nome di “sacrifici”; voi, dal vostro canto, per il rispetto dovuto a quei vostri coetanei e alle proporzioni di quell’esempio tratto dalla storia recente, permetteteci di qualificarli come “modesti”. Eppure, badate, quei “modesti sacrifici” cui infine siamo convenuti e che vi si chiedono oggi basteranno a potervi definire eroi un giorno non lontano: ragazze e ragazzi che con sforzi e rinunce personali avranno salvato l’Italia e la sua gente da una disfatta irrimediabile, dalla perdita di innumerevoli vite umane. A voi, allora, la responsabilità di scrivere questa nuova pagina di Storia, a voi decidere se sarà gloriosa e motivo di ammirazione dei posteri per la vostra generazione, oppure amara e ignobile come una rovinosa e definitiva sconfitta. L’una o l’altra possibilità, la Storia, non potrà ad ogni modo realizzarla al posto vostro, strappandovi dalle mani una penna che impugnate saldamente voi, che ci crediate o no. Andate a vincere questa guerra ragazze e ragazzi, anzi, restate a vincerla, a casa.

Pier Paolo Tarsi

I lettori ci scrivono

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