I lettori ci scrivono

Lettera da un’insegnante precaria delle GaE storiche

Tanti anni fa feci la scelta di studiare  all’università Storia dell’Arte per passione.
Tanti anni fa, amando la nostra terra, la sua ricchezza e la sua magnificenza, ho sentito subito il  desiderio di insegnare, di comunicare ciò che fa parte di noi nel profondo, ciò di cui siamo circondati.
Tanti anni fa, con molti sacrifici, presi l’abilitazione e vinsi il concorso per insegnare. Da poco vinto il concorso la riforma Gelmini tagliò moltissimo la mia materia nella Scuola  italiana, cosi come tante altre.
Anni e anni di precariato in GAE, anni e anni a passare da una scuola ad un’altra, e sentirmi dire dagli studenti: ‘prof ma lei ci sara il prossimo anno?’ Alla risposta negativa, sentire il dispiacere nelle loro parole e in me.
La situazione di precariato non è una situazione dignitosa e felice per chi la subisce.
Poi arriva la legge 107/15, con il suo piano assunzionale: restare nella propria città o rischiare di partire. Vuoi il ruolo? Allora lascia la tua casa, i tuoi affetti, la tua città. La scelta mi ha messo di fronte ad una decisione ingiusta. Fui costretta a non accettare, sapendo che comunque avrei mantenuto il diritto dettato dalla legge di poter attendere nella mia provincia, dato che nella mia provincia avevo  acquisito il diritto di essere assunta. Poi la beffa: coloro che avevano accettato il ruolo, pur sapendo il rischio che correvano, hanno cominciato a piagere, a lamentarsi, a chiamarsi ‘deportati’, e così facendo hanno ottenuto deroghe su deroghe, ledendo i diritti di chi era in GAE. ‘Fatta la legge, trovato l’inganno’ mi diceva il mio caro nonno.
Ed ora eccomi qui! Dopo anni di studi, sacrifici, precariato ancora mi ritrovo a piangere mentre saluto i miei alunni che mi dicono: ‘prof  ma se scriviamo una lettera per farla restare?’
‘Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!’ (Dante, Purgatorio VI).
Tiziana Cubeddu
I lettori ci scrivono

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