Uno studente neo diplomato di Milano ha scritto una lettera-sfogo al Corriere della Sera per esprimere il proprio disagio dopo aver concluso gli esami di Stato.
Anche un altro studente diplomato ha voluto dire la sua, inviando alla nostra redazione una lettera di risposta.
A commentare la vicenda è stato anche il professore e scrittore Enrico Galiano che ha scritto una sua riflessione pubblicata sul Libraio.
Ecco il commento integrale.
Cosa vogliamo dire a questi ragazzi? Vogliamo fare ancora finta di niente? Vogliamo ancora credere che siano le lamentele di chi non vuole la fatica e il sudore, di chi non è disposto a fare sacrifici?
Non mi sembrano queste le parole di uno scansafatiche o di uno che si atteggia a vittima: è un ragazzo che sa cosa vuole, o cosa avrebbe voluto dalla scuola che ha frequentato, e che non l’ha visto. Un ragazzo che si è trovato in mano, alla fine del percorso, solo un grande vuoto.
Vogliamo cominciare ad ascoltare le loro richieste? Sono precise, lucide e argomentate.
Ve le riassumo:
– basta con la retorica del merito;
– troviamo un’alternativa al voto numerico;
– opponiamo a una scuola ultracompetitiva un altro modello, più sano, dove il fallimento diventa un’opportunità
– de-ansizziamola (se così si può dire), cioè bonifichiamola dall’ansia che serpeggia in modo ormai patologico nelle nostre aule
– facciamo entrare gli studenti nel dibattito, non rendiamolo solo gli “utilizzatori finali” di un servizio
e, soprattutto:
– mettiamo le persone al centro, non i risultati; le specificità, non l’omologazione; rendiamola insomma un posto dove ci si possa sentire a casa.
Pensiamo sia possibile?
PS. Adesso voglio dire due cose a te, caro ragazzo.
Come vedi, ho accolto tutte le tue istanze, e ti ho dato ragione praticamente in tutto.
Però c’è un però, e ci tengo a consegnartelo rivolgendomi direttamente a te.
Due cose della tua lettera meritano una riflessione da parte tua, anzi da parte “vostra”, secondo me.
La prima è: all’inizio sostieni che, del vuoto che hai sentito alla fine degli esami, ritieni pienamente responsabili gli anni di scuola.
Attento: non cascare nel tranello del vittimismo. Il resto della lettera non aveva niente di tutto ciò, ma tieni sempre gli occhi aperti: quando si comincia a individuare un unico colpevole è sempre il primo passo per cedere alla retorica, e per chiamarsi fuori da ogni responsabilità.
E poi la seconda: perché hai scelto l’anonimato?
Lo so che il tuo era un grido, uno sfogo, un bisogno di farsi sentire. Però è proprio da qui che comincia il cambiamento: con l’assunzione di responsabilità. Rimanendo anonimo, rischi che anche la tua voce resti tale, e così il tuo grido. E, in questo modo, stai facendo esattamente quello che tanto critichi alla scuola: ti stai chiamando fuori. No, se vuoi davvero questo cambiamento, il posto è dentro. Dillo chi sei, alza la mano, fatti avanti. Dimostra di essere all’altezza delle tue parole così forti.
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