Sono una docente di uno storico liceo di Reggio Calabria. In questo difficile anno di pandemia, io e tutti i miei colleghi abbiamo fatto del nostro meglio per adattarci alle circostanze che l’eccezionalità della situazione richiedeva: continui cambi di orario, modifiche alla programmazione, uso di nuovi strumenti e metodologie, diverse modalità di verifica. Lo abbiamo fatto senza perdere mai l’entusiasmo, nella consapevolezza del ruolo insostituibile che la scuola svolge nella società e nella costruzione del futuro dei nostri giovani. Sempre con la speranza di intravvedere, quanto prima, la luce in fondo al tunnel.
Oggi, dopo un anno in cui ho duramente messo alla prova me stessa, come tutti gli altri docenti delle scuole di ogni ordine e grado, che ogni giorno lottano per continuare a svolgere la loro professione tra mille difficoltà, mi sento profondamente delusa nell’apprendere che si stia provvedendo a vaccinare, docenti universitari e psicologi, lasciando in coda i docenti delle scuole, anche quelle maestre che quotidianamente mettono a rischio la propria salute. Perché, diciamolo apertamente, come si può pensare di mantenere il distanziamento con dei bambini?
Purtroppo, in un’Italia democratica, in cui l’inclusione sembra sia diventato argomento di dibattito su tutti i fronti, mi sembra che i veri esclusi, i veri emarginati, siano sempre i docenti. Sì, perché è evidente che le caste, la piramide sociale che pensavamo non facessero più parte delle democrazie occidentali, sono sovrastrutture che condizionano ancora il nostro pensiero e, conseguentemente, la nostre vita.
In questa lotta tra poveri, in cui i vaccini non sono sufficienti per tutti, sono ancora una volta i più ricchi a vincere.
Una docente delusa
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