Sono una mamma e in questa veste scrivo, mentre penso a come potrò dire a mio figlio e ai tre cugini, gli unici e soli affetti che ha, che non potranno crescere insieme, perché l’anno prossimo ci trasferiremo, anche se non sappiamo bene dove. Già, perché anche i figli dei futuri assunti non capiscono le incomprensibili vicissitudini dei grandi e a causa di queste soffrono e piangono, e le lacrime loro non sono affatto diverse rispetto a quelle dei bimbi dei docenti di ruolo lontani da casa. E danno la stessa pena.
Altra questione sarà spiegare loro il perchè. Diremo ai miei bimbi che nel Paese in cui vivono e diventeranno grandi le regole si cambiano per la convenienza esclusiva di alcuni e si pongono a seconda del livello di pressione, di prepotenza, di aderenze personali? Che esistono dei Pittoni che giocano sulla loro pelle, ma anche delle Malpezzi e Coscia e compagnia bella che sono del tutto incapaci di fare ciò per cui hanno avuto mandato: mediare e comporre interessi diversi, pure confliggenti, con equilibrio e razionalmente, senza degradare la pari dignità, l’uguaglianza e i diritti di nessuno? Questa scellerata mobilità straordinaria concessa così, senza mezze misure, sulla base di istanze per altro legittime e del tutto condivisibili, toccherà la vita delle persone, di tante persone.
Per me e mio marito (primo in Gae in una piccola provincia su una classe di concorso la cui disponibilità annuale si misura in ore, non in cattedre, e dove una piccola schiera di colleghi appena fuori provincia preme per tornare) sarà “solo” un fare le valigie, smontare la casa in affitto salutare e andare, ma, ne sono certa, non sarà così per Giovanni, Beatrice, Rocco e Isabella, i miei adorati bimbi che avrebbero potuto crescere insieme.
Noi andremo, quindi, e non vorremo per nessuno e non procureremo a nessuno lo stesso dolore, la stessa privazione, la stessa cieca sofferenza, perché questo deve imparare Giovanni: le battaglie per i propri affetti sono sacrosante quante il rispetto del prossimo.
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