Nei giorni scorsi è mancata Ana Teberosky, psicologa dell’età evolutiva che, insieme con Emilia Ferreiro, aveva condotto ricerche importantissime sull’apprendimento della letto-scrittura da parte dei bambini.
I suoi lavori vennero fatti conoscere ai docenti italiani da Clotilde Pontecorvo.
Ne parliamo con Cristina Zucchermaglio, docente di Psicologia sociale all’Università di Roma che con Teberosky e Ferreiro aveva collaborato molto già a partire dagli anni 80
Lei come aveva conosciuto Ana Teberosky?
Ho conosciuto Ana ad un convegno nel 1985 (o 1986) grazie alla mediazione di Emilia Ferreiro con cui già collaboravamo. Dopo aver dovuto lasciare l’Argentina per i noti motivi, Emilia si era trasferita in Messico mentre Ana si era stabilità a Barcellona. Non era quindi per loro agevole e nemmeno frequente re-incontrarsi. Di quel convegno ricordo quindi anche l’emozione di vederle riunite.
Perché Clotilde Pontecorvo si interessò così tanto delle ricerche sue e di Emilia Ferreiro?
Nel 1982 Clotilde Pontecorvo aveva cominciato a guidare e a progettare la ricerca educativa sperimentale sulla continuità educativa 4-8 anni, finanziata dal Ministero della Istruzione. Grazie alle sue “antenne” sempre attente e sensibili e alla incredibile rete di contatti scientifici con ricercatori e istituzioni nel mondo (e in particolare in questo caso grazie a Mimì Sinclair), aveva saputo della ricerca di Ana e Emilia sulla costruzione della lingua scritta nel bambino. La loro ricerca andava proprio a toccare e a rivoluzionare completamente uno degli aspetti didattici centrali implicati nella costruzione di una proposta curricolare unitaria per bambini tra i 4 e gli 8 anni.
Una coincidenza davvero straordinaria…
Infatti, e così nel 1983 Clotilde ha invitato Emilia Ferreiro come visiting professor presso Sapienza, dove ha tenuto memorabili seminari e con la quale abbiamo cominciato a raccogliere i primi dati sulla costruzione della scrittura su bambini italiani. In conseguenza di tale “incontro” con Ana e Emilia (e il loro lavoro) il mio stesso progetto di dottorato è stato indirizzato ad approfondire l’evoluzione delle conoscenze dei bambini sulla lettura/scrittura a contatto con la costruzione di una proposta educativa sperimentale 4-8.
Emilia è tornata a Roma come visiting professor anche nel 1985, periodo nel quale abbiamo svolto e pubblicato su Età Evolutiva una ricerca comparativa sull’interpretazione e scrittura delle “doppie” in bambini italiani e spagnoli.
La collaborazione tra Clotilde e il gruppo romano con Emilia è proseguita ancora negli anni successivi, soprattutto con la ricerca comparativa sulla scrittura di Cappuccetto Rosso in bambini italiani, spagnoli e portoghesi.
Dopo la grande “fiammata” che ci fu negli anni ’80 l’interesse verso quel tipo di approccio all’insegnamento della lettura e della scrittura andò via via scemando. Perché secondo lei?
Non saprei. Forse perché dalla scuola le ricerche di Ana e Emilia sono state interpretate solo come un “metodo” didattico pronto all’uso. Credo invece che l’uso educativo dei loro risultati deve essere il risultato di un preciso e dedicato lavoro di progettazione educativa. Un lavoro che richiede un completo cambiamento di prospettiva da parte degli insegnanti sulla complessità e “non naturalita” della lingua scritta alfabetica e sui modi con cui i bambini cercano di interpetrare questo fondamentale artefatto culturale.
Ma ci sono realtà in cui la ricerca prosegue?
Certo, ci sono scuole dell’infanzia (penso alle scuole associate alla Federazione Provinciale della scuole dell’infanzia di Trento che ben conosco) nelle quali è prassi educativa proporre ai bambini attività e pratiche significative e sensate di uso della lingua scritta e dare spazio e dare dignità e spazio alle loro scritture non convenzionali.
Il “metodo” Ferreiro/Teberosky è stato ed è utilizzabile anche nella scuola dell’infanzia: non c’è il rischio di “precocizzare” un po’ troppo l’approccio alla lingua scritta?
Come dicevo prima, è un errore pensare alla fantastica ricerca di Ana Teberosky e Emilia Ferreiro come ad un metodo educativo. Sono al contrario risultati che ci hanno fatto scoprire quante competenze sulla lingua scritta ci sono nei bambini, anche se non sono (ancora) quelle giuste e convenzionali. Risultati importantissimi che sollecitano gli adulti (e anche gli insegnanti) a cambiare drasticamente la loro prospettiva adultocentrica e di conseguenza le pratiche educative di familiarizzazione alla lettura e scrittura, a scuola dell’infanzia e alla scuola primaria. Ricordando sempre, come dice Emilia Ferreiro (2003), che “i bambini hanno un brutto vizio: non chiedono mai il permesso agli adulti per iniziare ad imparare“
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