La lettura di libri non scolastici e dei quotidiani, la conoscenza, l’arte, la cultura, in generale, vengono fatte proprie quando si è in giovane età. Con il passare degli anni, in età adulta, si viene talmente presi dal lavoro e dal ménage familiare, che tutto il resto passa in secondo piano. A confermarlo è l’Istat, attraverso il Rapporto annuale pubblicato il 16 maggio.
La cosiddetta partecipazione culturale, in sostanza, si pratica soprattutto quando si va a scuola o all’università, poi si diradano, fino ad abbandonarsi o quasi con la terza età.
Nel 2016, il 66,3 per cento della popolazione di 6 anni e più ha dedicato il proprio tempo, almeno una volta nei 12 mesi precedenti, a intrattenimenti e spettacoli fuori casa; il 40,5 per cento si è dedicato alla lettura di libri (per motivi non strettamente scolastici o professionali) e il 43,9 per cento ha letto quotidiani almeno una volta alla settimana.
La quota di cittadini che, nello stesso periodo, non ha svolto alcuna attività culturale, neppure semplice e occasionale, è del 18,6 per cento.
La quota di non partecipazione delle donne è più alta di quella degli uomini (21,5 contro 15,5 per cento).
Il fenomeno è molto legato all’età: l’inattività culturale totale, minima tra i giovani, è considerevolmente più frequente tra gli adulti, già a partire dai 25 anni, anche se il crollo della partecipazione avviene dopo i 75 anni, quando tocca il 43,5 per cento, in misura molto più elevata per le donne (49,7 per cento) che per gli uomini (34,0 per cento).
L’esclusione culturale colpisce soprattutto le famiglie a basso reddito con stranieri e quelle degli operai in pensione, tra le quali più della metà delle persone non svolge nessuna forma di attività culturale, per quanto limitata e occasionale.
Altri gruppi sociali dove questi comportamenti sono pervasivi sono quelli in cui sono più presenti gli esclusi dal lavoro: anziane sole e giovani disoccupati e le famiglie a basso reddito di soli italiani.
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