“Se dovessi puntare su un’idea di sviluppo per l’Italia partirei da loro, dagli studenti Erasmus”, ad affermarlo in una intervista ben in evidenza sulle colonne del Corriere della Sera è Francesco Profumo già ministro dell’Istruzione e rettore del Politecnico di Torino.
Profumo che è attualmente Presidente della Compagnia di San Paolo, nel rispondere alle domande mette in evidenza l’importanza del progetto giunto al trentesimo anno collocandolo in una prospettiva per così dire moderna e innovativa anche in riferimento agli standard degli apprendimenti e all’utilità che esso ha per il curriculum in un “mercato del lavoro che è sempre più europeo”.
Profumo infatti stigmatizza chi pensa che “i ragazzi dell’Erasmus vadano all’estero a ‘fare baldoria’ e non si dedichino allo studio”, affermando che “chi la pensa in questo modo non ha approfondito il tema e non ha capito lo spirito”.
Del resto se si pensa che siamo nell’Europa in cui l’apprendimento che viene misurato e che serve a trovare lavoro e fare carriera non è solo quello formale (ovvero certificato dalle istituzioni scolastiche) ma anche informale cioè quello che si realizza durante le attività quotidiane, il cd learning by doing, appare evidente che l’esperienza all’estero può davvero dare tanto.
Fino a qualche tempo fa il progetto Erasmus era un’esperienza riservata in esclusiva agli studenti universitari ma da qualche anno riguarda le scuole superiori, dove peserà molto la sensibilità della classe dirigente perché diventi una struttura portante della formazione che non si realizza – per ripetere un continuo refrain – solo in aula. Vero è che “attrezzare” il proprio istituto per vivere l’esperienza formativa europea è ancora un’esperienza iniziale e siamo in fase di rodaggio, ma il giorno in cui ci abitueremo a leggere oltre la versione in italiano anche quella in inglese dei siti web delle istituzioni scolastiche, probabilmente il rodaggio si potrà dire definitivamente concluso e il motore della scuola italiana pronto a viaggiare agevolmente per l’Europa.