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Lezioni anti-bullismo

La scuola è spesso una sorta di palcoscenico che consente un’osservazione privilegiata dei comportamenti individuali e di gruppo. Può, al tempo stesso, essere considerata il luogo migliore per interventi a carattere preventivo e di promozione del benessere. In tale ottica, il fenomeno del bullismo, che tanto prepotentemente si manifesta in ambito scolastico, è proprio dentro la scuola che potrebbe essere gestito.
Un recente studio pubblicato sulla rivista Archives of Pediatrics & Adolescent Medicine (del gruppo editoriale Jama) ha preso per l’appunto in esame l’efficacia di programmi scolastici specificamente finalizzati a un’educazione contro il bullismo. In effetti, se la scuola riesce nell’obiettivo di far sentire integrato ogni studente, i fenomeni della prevaricazione violenta e della sottomissione alla violenza calano in modo sostanziale. In altri termini, pare che i bulli possano essere aiutati a smettere di esserlo, e dove non c’è più prevaricatore, non c’è nemmeno prevaricato.
Il problema però sta a monte. Tutto parte da un processo che caratterizza la crescita, quello definito di “socializzazione”. Quello che consente di interiorizzare i valori e i modelli della società di appartenenza e di assumere i comportamenti più adatti al ruolo e ai contesti. Si tratta di un processo dall’esito spesso incerto, tutt’altro che automatico poiché sottoposto ad una continua mediazione fra le aspettative sociali, le modalità con le quali esse vengono espresse e le caratteristiche personali.
I programmi scolastici di cui sopra sono stati formulati a seguito della consapevolezza che, soprattutto negli Stati Uniti e nei paesi del nord Europa, il fenomeno del bullismo, in special modo nelle scuole primarie, condizionava l’approccio con la scuola nonché la percezione della socialità.
Allo studio hanno partecipato 47 scuole elementari per un periodo di due anni, nel corso dei quali gli esperti hanno osservato i bimbi e annotato informazioni sugli episodi di bullismo di cui ciascuno era stato vittima, in considerazione dei problemi fisici o psicologici che i bambini manifestavano. Gli psicologi hanno preso in considerazione disturbi come la depressione e l’ansia, problemi psicosomatici come mal di testa e mal di pancia, enuresi, disturbi del sonno, ansia e spossatezza.
In una fase iniziale dell’osservazione, è emerso che le vittime del bullismo sono in modo significativo più vulnerabili a sviluppare problemi psicosomatici e psicosociali rispetto ai coetanei. I bulli, dal canto loro, manifestano con la violenza il loro disagio e il rifiuto da parte della comunità. Nel corso della sperimentazione i programmi anti-bullismo hanno dimostrato la loro efficacia: tanto il comportamento delle vittime quanto quello dei bulli, infatti, ha registrato un percorso di miglioramento che si è palesato con una partecipazione dinamica alle attività scolastiche e un calo dei comportamenti di estraneità rispetto al sistema scuola.
 
Alessandra

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