Possono i docenti impartire legittimamente “ripetizioni” senza incorrere nei rigori della legge?
La risposta è nell’art. 508, commi 1-6, del D.Lgs. 297 del 16-4-1994 (Testo Unico dell’istruzione). Solo al personale ispettivo e direttivo è vietato l’insegnamento privato. I docenti son liberi d’insegnare privatamente, a patto di rispettare alcuni vincoli: primo dei quali, il divieto di insegnare ad alunni del proprio istituto di servizio. La ratio di tale incompatibilità è facilmente immaginabile: evitare l’insorgere di conflitti d’interessi in fase di valutazione dei medesimi alunni. Potrebbe accadere, infatti, che il docente XY, avendo impartito lezioni private a Pierino, sia tentato di influenzare le valutazioni dei docenti di Pierino a proprio vantaggio: ossia per dimostrare ai genitori di Pierino (che pagano il prof. XY per le lezioni impartite) l’utilità delle lezioni stesse.
Infrangere tale norma non conviene a nessuno: non conviene all’alunno, che rischia di vedersi annullare gli esami o i relativi scrutini, qualora nella commissione d’esame sia presente un docente che gli abbia impartito lezioni private; non conviene al docente, sul quale, nella migliore delle ipotesi, graverebbe il sospetto di aver influenzato altri colleghi del medesimo istituto scolastico in cui egli insegna (sospetto che rovinerebbe la reputazione anche al docente più onesto di questo mondo). E, vista la scarsa considerazione del Paese nei confronti degli insegnanti in questo momento storico, perché consegnare su un piatto d’argento la propria testa al pubblico ludibrio?
Ma c’è di più: i docenti che assumano lezioni private devono informare il Dirigente Scolastico (che nel Decreto Legislativo 297, risalente al 1994, è ancora definito “direttore didattico” o “preside”), il quale può «vietare l’assunzione di lezioni private o interdirne la continuazione, sentito il consiglio di circolo o di istituto» Il docente che impartisca ripetizioni private «deve altresì comunicare il nome degli alunni e la loro provenienza» al Dirigente Scolastico (comma 2).
Dal punto di vista fiscale (aspetto di cui la nostra testata ha già scritto), gli introiti derivanti al docente dalle “ripetizioni” sono soggetti un’imposta (sostitutiva di IRPEF e relative addizionali regionali e comunali) con l’aliquota del 15%. Gli importi tassati (da dichiarare nei modi indicati dall’Agenzia delle Entrate) non vengono calcolati nel reddito complessivo, né nella determinazione di detrazioni, deduzioni e altre agevolazioni fiscali. Contribuiscono invece a determinare l’ISEE (Indicatore Situazione Economica Equivalente).
Detto ciò, conviene ai docenti esercitare privatamente la propria professione? Dal punto di vista economico la risposta è intuitiva, visto lo stipendio che lo Stato italiano riserva a questa rispettabilissima professione (pur così importante per il futuro del Paese). Certo è che esiste un motivo per cui la legge prevede un orario massimo d’insegnamento settimanale (che in Italia è di 18 ore per i professori delle Scuole Secondarie). Tale norma è dettata da una consapevolezza ormai più che secolare: il lavoro quotidiano del docente è faticoso, impegnativo (psichicamente e fisicamente), logorante. Nell’insegnamento la quantità è inversamente proporzionale alla qualità. Se si vuole insegnare bene, bisogna centellinare le forze (checché ne dicano detrattori e ignoranti di tutte le risme). Tanto più che le migliori energie del docente devono essere rivolte all’approccio interpersonale con discenti in formazione, dall’equilibrio psichico delicato come le ali di una farfalla. Per esser bravo, dunque, il docente dev’esser sereno e riposato; non stressato e nervoso. Cosa che, da 30 anni a questa parte, non sembra risultare ben chiara alla nostra classe politica (né a gran parte dell’opinione pubblica).
Agli studenti conviene prendere lezioni private (e ai genitori pagarle)? Sicuramente sì, a patto di trovare un docente capace d’instaurare con ognuno di loro un rapporto fondato sull’empatia (e — perché no? — anche sulla reciproca simpatia). Il rapporto individuale (1:1) docente/discente è certo proficuo per il lavoro di entrambi, anche se viene a mancare l’aspetto cognitivo del confronto emulativo con gli altri discenti (che è comunque presente in classe). Il discente però non deve commettere l’errore di delegare al docente il proprio impegno, assolutamente necessario per imparare. Il docente deve aiutare il discente ad affrontare autonomamente le difficoltà, senza mentire al genitore (per non allontanare il “cliente”) quando l’alunno non s’impegni abbastanza. Non sia l’insegnante a svolgere l’esercizio di matematica al posto di Pierino; deve essere Pierino a farlo, sotto la supervisione e la guida attenta dell’insegnante. Scopo dell’insegnamento è insegnare a pescare, non fornire il pesce bell’e pronto.
Ancora una volta, dunque, si conferma la regola secondo cui la Scuola non può avere come fine il lucro: anche se, in ogni caso, è giusto tributare alla professionalità del docente un riconoscimento economico adeguato alle sue responsabilità, alla sua fatica e alla sua preparazione.
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