Squilli di guerra (nonviolenta) per i Fridays For Future. Dopo lo sciopero globale del 25 marzo scorso, ne è stato annunciato un altro per il prossimo 23 settembre: con la richiesta esplicita «ai leader di governo e delle grandi corporation di mettere le persone prima dei profitti» e «che le prossime elezioni siano delle elezioni per il clima». Una loro portavoce, Michela Spina (25 anni), ha parlato al TedX Bologna chiedendo “giustizia climatica” contro il privilegio e la dominazione del profitto sulla natura (e sull’umanità). Il “Climate Social Camp” di Torino ha evidenziato un decisivo salto di qualità sul cammino della coscienza politica di questi giovani, che hanno ormai compreso il nesso tra neoliberismo globale e distruzione del pianeta per il profitto di pochi miliardari.
Dopo esser stato insultato, deriso, nascosto dalla pandemia, dalla guerra, dalle notizie della politica “alta”, il movimento nato dall’impegno di Greta Thunberg si riorganizza e promette la ripresa dell’iniziativa studentesca per la difesa dell’ambiente. Una ripresa fortissima e, stavolta, intransigente. E se ne comprende il perché. L’estate anomala che stiamo vivendo, con le sue temperature africane che opprimono l’Europa intera fino all’Artico dalla metà di maggio (facendo crollare ghiacciai, moltiplicando tornado e diluvi con grandine enorme, incendiando mezzo mondo, esaurendo l’acqua potabile, uccidendo moltissime persone innocenti), impone una riflessione sull’urgenza di invertire la rotta finché non è ancora troppo tardi.
Il punto di non ritorno (in cui verrà superata la la soglia di 1,5 gradi Celsius di temperatura media globale rispetto all’era preindustriale) si è fatto ancora più vicino rispetto al 2030. Gli ultimi studi lo situano alla fine del 2027: dopo non sarà possibile più far nulla per impedire che la situazione climatica diventi incontrollabile, perché l’aumento punterà rapidamente ai 2 gradi; e questo sbilanciamento potrebbe portarci prestissimo ai 3 gradi ed oltre, con conseguenze letteralmente catastrofiche per tutti.
Sul timore del collasso climatico, sempre più probabile, non può che esplodere la contraddizione tra le giovanissime generazioni — che per tutta la loro vita pagheranno le conseguenze gravissime della nostra sostanziale inazione — e la generazione degli ultraquarantenni, attualmente al potere, che non sta facendo nulla di nulla quanto ad azioni concrete, né per mitigare il clima eliminando i danni del nostro modello di sviluppo, né per produrre politiche di adattamento al surriscaldamento globale in corso.
Contraddizione particolarmente evidente in Italia. Nulla si fa nel nostro Paese per riparare gli acquedotti-colabrodo. Nulla per efficientare le fognature. Nulla per impedire il dissesto idrogeologico. Nulla per raccogliere le acque piovane. Nulla per impedire l’avanzata del cemento. Nulla per ridurre la nostra dipendenza dai combustibili fossili (aumentata, anzi, con la scusa della guerra russo-ucraina). Nulla per far realmente comprendere agli italiani la gravità della situazione.
Eppure sarà proprio la Penisola, un tempo cullata dal clima più mite del pianeta, a vedere desertificato e reso improduttivo e invivibile il proprio territorio: ciò avverrà in pochi decenni (forse nei prossimi dieci anni), e non sarà uno spettacolo da guardare in televisione, ma qualcosa di terribile che sconvolgerà per sempre le vite di tutti, giovani e vecchi, poveri e benestanti. È incredibile che ancora la maggioranza dei nostri connazionali non l’abbia capito, malgrado il parere unanime dei climatologi.
L’hanno però capito bene molti giovanissimi: tutti quelli non appagati dalla dipendenza dal cellulare, dal tatuaggio, dallo sballo in discoteca, dalla “musica” trap, dagli alcolici e dalle droghe; tutti quelli che approfondiscono, che comprendono, che vanno oltre il compitino scolastico. Tutti quelli che leggono e s’informano.
«Non possiamo continuare a stare seduti a scuola, a fingere che vada tutto bene, e a studiare come se il pianeta non fosse in fiamme», si legge in rete. Il caldo asfissiante, che infuria da tre mesi, ha visto le azioni di disobbedienza civile nonviolenta di “Extinction Rebellion” e di “Ultima Generazione”: blocchi stradali (nonostante la reazione violenta degli automobilisti inferociti) e azioni dimostrative di vario tipo, tutte meticolosamente represse con denunce, fermi di polizia e divieti degni di miglior causa.
Riusciranno i nostri giovani migliori a far capire agli italiani che la loro indifferenza è semplicemente suicida? Riusciranno gli adulti a comprendere l’urgenza di una politica che inverta totalmente la rotta rispetto a consumismo sfrenato, depredazione ambientale, assenza assoluta di ideali e di scelte etiche?
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