Categorie: Riforme

Liberare la scuola dallo Stato

Basta ai “piccoli interventi marginali” per riformare la scuola, bisogna avere chiaro un “disegno di lungo periodo”: così si esprimono Andrea Ichino e Guido Tabellini, insegnanti di economia politica, rispettivamente all’Università di Bologna e alla Bocconi di Milano.
Lo stato, secondo i due studiosi, non gestisce in modo virtuoso per cui bisogna dare alla scuola maggiori autonomia e responsabilità, al fine di migliorare il servizio offerto agli studenti che la frequentano e le condizioni di lavoro per il personale docente. E poi occorre attirare per tali ruoli i laureati migliori, scongiurando il ripetersi dell’”incresciosa vicenda dei Tirocini formativi ordinari e dei Tirocini formativi speciali”, segno inequivocabile che il “sistema di selezione centralizzato degli insegnanti (…) è lento macchinoso e incapace di venire incontro alle esigenze delle scuole”; oltre ad essere “basato sull’anzianità e nel precariato come prevalente titolo di merito” e probabilmente “pensato, sotto l’influenza dei sindacati, più come strumento di “politica del lavoro”, che non come strumento per migliorare la qualità del sistema scolastico al servizio degli studenti”.
Tempi.it riporta quanto sostengono Ichino e Tabellini per i quali lo Stato italiano si trova ormai ad avere assunto un “ruolo preponderante” sia nella regolamentazione e sia nel finanziamento e sia nell’erogazione diretta del servizio. Uno stato anche bugiardo, visto che, secondo i due, può “annacquare la valutazione delle scuole o la diffusione di informazioni su di esse per evitare di rivelare le carenze degli istituti pubblici o sopire potenziali conflitti” oppure “scoraggiare innovazioni curricolari per non trovarsi a dover gestire problemi organizzativi o sindacali”.
Ma anche uno Stato in conflitto di interesse tra il suo essere “finanziatore ed erogatore di servizi di qualità peggiore rispetto a quello che l’utente sarebbe disposto ad acquistare se potesse concorrere al finanziamento”, mentre “il finanziamento statale dell’istruzione è riservato quasi esclusivamente alle scuole pubbliche”.
Il modello proposto sarebbe allora quello, mediato criticamente dall’esperienza anglosassone delle Grant Maintained Schools e delle School Academies e da quella americana delle Charter Schools, di “scuole autonome e in concorrenza tra loro, finanziate dallo Stato sulla base di una valutazione centralizzata dei loro risultati”
Per questo i due professori hanno pensato come soluzione quella di dare la possibilità alle le scuole pubbliche che lo desiderino, restando pubbliche, di essere gestite da comitati di genitori e/o insegnanti, enti no profit e dirigenti scolastici.
E così, secondo i due esperti, dopo una fase sperimentale, della durata di cinque anni, “le scuole diventate autonome, ma in un contesto istituzionale e di contratti che, per quanto possibile, non comporti effetti permanenti per le persone e le istituzioni coinvolte”
L’autonomia dovrà riguardare “ogni ambito della vita scolastica”, in particolare:
• La definizione dei nuovi contratti di natura privata per la gestione di tutto il personale, insegnanti inclusi;
• Le assunzioni, i licenziamenti e le retribuzioni dei docenti che dovranno poter essere selezionati dalle scuole senza vincoli; in particolare non dovranno essere previste particolari certificazioni che i candidati insegnanti debbano conseguire per poter essere assunti da una scuola autonoma; l’evidenza empirica internazionale è infatti quasi unanime nell’affermare che non esista correlazione tra le certificazioni degli insegnanti e i risultati da loro conseguiti;
• L’offerta formativa, i programmi, le modalità di insegnamento e gli orari che dovranno poter essere definiti dalle scuole liberamente;
• La gestione del capitale fisico e delle attrezzature, inclusi acquisti e vendite di edifici scolastici.

Pasquale Almirante

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