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Libertà di insegnamento senza scorciatoie

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La discussione è stata utile e interessante, ma dal nostro punto di vista merita più di un approfondimento.
Al centro della trasmissione una docente di un liceo romano, contestata da alcuni genitori e da alcuni alunni per delle scelte relative ai testi fatti leggere durante una attività di ricerca testuale.
Non riteniamo di avere alcunché da dire sul singolo caso, di cui non abbiamo conoscenza diretta, ma certamente riteniamo di dovere aggiungere delle importanti considerazioni rispetto a quanto emerso durante la trasmissione “Otto e mezzo”.
La trasmissione, dopo una ricostruzione dei fatti, si è concentrata sul tema generale della libertà di insegnamento, garantita dalla Costituzione e si è posto il problema se tale libertà sia da considerare senza limiti e regole.
L’Assemblea Costituente nel 1947 scrisse all’articolo 33: “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”. L’assunto costituzionale è chiaro, ma come si fa a garantirlo? Esiste una procedura perché la libertà del docente non sconfini, non produca abusi, eviti incidenti e conflitti come quello che ci è stato raccontato? Sì.
Il Parlamento nel 1974 fornì all’insegnamento due strumenti di lavoro. Il primo riguarda la sperimentazione degli ordinamenti (art 3 legge 419/74). In questo caso l’iniziativa può essere assunta dalla singola scuola e deliberata, se non altro per i riflessi finanziari inevitabili, dal governo centrale. Dopo di che i docenti avviano la prevista attività innovativa.
Il secondo strumento riguarda la sperimentazione metodologico-didattica (art. 2 legge 419/74). In questo caso è il singolo docente che promuove l’iniziativa e la porta all’approvazione del consiglio di classe e del collegio dei docenti della scuola.
Il caso esaminato e discusso durante la trasmissione “Otto e mezzo” si inquadra nella seconda tipologia.
Quindi nella legislazione italiana esistono non solo norme costituzionali, ma anche norme ordinarie che garantiscono e regolano la libertà di insegnamento.
Ma cosa deve fare in concreto l’insegnante che decide di sperimentare e innovare la didattica all’interno della propria disciplina?
Prima tappa. Un docente accorto, prima di tutto, discute il suo progetto nei dipartimenti disciplinari perché in quella sede i colleghi, in possesso delle stesse competenze, possono fornirgli un aiuto per arricchire il progetto, correggere eventualmente il tiro fin dall’inizio, scegliere con la massima oculatezza e competenza le fonti di studio, condividere le scelte più difficili. Se il contributo atteso non viene egli va avanti lo stesso.
Seconda tappa. Il progetto, arricchito o meno dei pareri anche informali degli altri esperti della disciplina, va presentato al consiglio di classe, del quale fanno parte anche i genitori e gli alunni. In tale sede i colleghi, contitolari del processo educativo, possono non solo contribuire a migliorare la progettazione, ma anche a monitorare il processo in quanto insegnanti della stessa classe, o, se emerge un dissenso non componibile con il docente proponente, utilizzare la propria libertà di insegnamento per integrare la visione non condivisa con altri punti di vista. Da 8 a 10 docenti formano un consiglio di classe e lavorano assieme non perché amici o simpatici gli uni agli altri, ma perché complementari, anche nella visone del mondo e della conoscenza. Questa è la principale ricchezza delle scuole statali. Ma nel consiglio di classe siedono anche i rappresentanti degli alunni e dei genitori. Quale migliore occasione per spiegare anche in sede istituzionale le proprie ragioni e condividere, se possibile, le scelte? Non sempre il consenso si ottiene.
In questo caso l’insegnante, convinto del proprio progetto, usa la libertà di insegnamento per andare avanti e si mette in posizione di ascolto, senza vittimismo, nei confronti di quanti hanno espresso parere critico o negativo, sicuro di non rischiare l’indottrinamento dei propri allievi in quanto gli altri docenti che si alternano nella classe sono a conoscenza del progetto e possono garantire il pluralismo dei punti di vista, degli approcci metodologici, delle chiavi di lettura.
Non ha necessità di invocare la libertà di insegnamento chi decide la scelta di canoni o contenuti standard, universalmente condivisi o almeno maggioritari nel dibattito scientifico e pedagogico. In questo caso si fa un’opera meritoria per sé e per il paese, senza nulla di straordinario. La scuola d’altronde non ha bisogno di eroi; è già tanto disporre di professionisti capaci e responsabili.
Si può scegliere però anche un percorso più ardito, legato alla ricerca didattica. La scuola e la società italiana tutta hanno enorme bisogno di insegnanti che fanno ricerca didattica. Il futuro sta nell’esplorazione del nuovo e dell’inatteso. In questo caso lo strumento che aiuta il docente nel suo arduo compito è la libertà di insegnamento che gli permette di avviare e portare a termine forme di ricerca didattica innovative, però metodologicamente prive di scorciatoie, lontane dall’autoreferenzialità, dal narcisismo pedagogico o peggio dall’avventura cognitiva.