«Nel 2100 i musulmani potrebbero costituire la metà della popolazione italiana», si legge nel “Primo rapporto sull’islamizzazione d’Europa”, un report che ha più valore politico che scientifico, e infatti esso si serve, per avvalorare la tesi, anche di luoghi comuni come il tasso di fertilità delle donne di fede islamica, pari al doppio di quello delle italiane. Vale a dire che “Gli stranieri musulmani residenti in Italia sono cresciuti di 127mila unità rispetto al 2018 (quando erano 1,45 milioni), mentre i cristiani sono invece diminuiti di 145mila unità (nel 2018 erano poco meno di 3 milioni), pur mantenendo ancora il ruolo di principale religione professata dagli stranieri”.
Inoltre, si dice, che il motore di questo ribaltamento è azionato dai “flussi migratori incontrollati” per cui, dal 2010 al 2016, “a fronte di un 46% di presenza musulmana tra gli immigrati regolari, il numero di musulmani richiedenti asilo è cresciuto fino al 78%, una percentuale che, se sommata all’incremento del 32% su scala europea, potrebbe arrivare nel medio-lungo termine alla soglia del +193%”.
Se così fosse, i futuri, ma non tanto futuri, governi italiani avrebbero davanti a loro un problema enorme in funzione soprattutto dell’istruzione e quindi della scuola.
Infatti, se questa immaginata futura maggioranza di fede musulmana, in similitudine delle scuole private cattoliche, chiedesse l’apertura di proprie scuole, a rigore di Costituzione, nessuno potrebbe impedirglielo.
Ma non solo. Sempre a norma costituzionale, se gli Istituti cattolici ricevono finanziamenti pubblici, per un valore complessivo di 500 milioni di euro, queste somme dovranno essere ripartite anche coi musulmani, col sicuro impegno, considerato il loro moltiplicarsi, di aumentare il budget. Ma esiste poi anche una detrazione fiscale: fino a 800 euro annui di retta possono essere portati in detrazione, con un taglio di 160 euro annui dalle tasse.
Fra l’altro a difesa degli impegni finanziari nei confronti delle paritarie è stato pure affermato da un sottosegretario all’Istruzione: “Con la Legge 62/2000 si è assodato che esiste un unico sistema nazionale, che è diviso in scuole statali e non statali. Lo stato deve garantire l’istruzione, la Costituzione parla chiaramente di libertà di scelta educativa. Fino a pochi anni fa questa scelta non aveva una gamba. Ora c’è”.
Infatti proprio tale “libertà di scelta educativa”, presuppone pure che ogni fede religiosa, e non solo religiosa ma anche politica, presente in Italia possa aprirsi una scuola, proprio per garantire questa libertà educativa a ogni cittadino che la richieda; e siccome essa ha valore fondamentalmente ideologico, nel senso che i genitori vogliono che il figlio sia educato secondo determinati principi e riferimenti culturali precisi, i docenti vengono reclutati, non sulla base di una graduatoria oggettiva stilata secondo punteggi culturali e di servizio, come avviene nella scuola pubblica, ma sulla base della fede cui fa riferimento, altrimenti sarebbe un controsenso: un Imam in un collegio cattolico o un gesuita in una madrasa?
Dunque quando le destre insistono sul potenziamento e l’ulteriore finanziamento della scuola private cattoliche e no, devono fare attenzione, considerato il loro ostracismo per gli stranieri dai quali pretendono persino la denunzia dei redditi percepiti nel paese di origine, e non in Italia, per concedere la mensa gratuita o il trasporto scuola-bus.
Ma la destra ha pure scordato che il grande oppositore delle scuole cattoliche e dell’Azione cattolica fu il fascismo, da sempre statalista, e dunque, proprio in funzione di questo rapporto diffuso ai primi di settembre, dovrebbero insistere per arricchire e potenziare la scuola pubblica all’interno della quale quella “libertà educativa” è garantita dal pluralismo culturale e ideologico dei suoi docenti, a cui mai nessuno ha chiesto tessere di partito, né fede religiosa, né orientamento razziale e sessuale. Si richiedono solo titoli culturali e di servizio e i punteggi nelle graduatorie e da esse vengono arruolati.
Per questo apparve strano, per chiosare, che il Partito democratico, nella legge 107 detta della “Buona scuola”, abbia inserito la chiamata diretta dei docenti da parte del preside nella sua scuola. Una deriva pericolosa che la gran parte dei prof rifiutò con forza e determinazione, sia per non entrare nei meccanismi di scuole elitarie e no, e sia per non fare del dirigente scolastico una sorta di padrone che arruola a seconda chi avvinghia il suo “piacere” o “dispiacere”.
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