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Libri, televisione, videogiochi e bambini: un’indagine del Movimento Italiano Genitori

Interessanti i dati che stanno venendo fuori dalla raccolta dei questionari e dalle indagini collaterali alle quali stanno collaborando psicologi come Silvia Veggetti Finzi e Anna Oliviero Ferraris dell’Università di Roma e Antonella Bartolomeo e Simona Carovita dell’Università Cattolica di Milano.
I libri oggi, più che nel passato, molto curati dagli editori, sono belli, lucidi, colorati e tante volte corredati da cd, ma non occupano il primo posto negli interessi dei bambini che sono fortemente attratti dalla televisione e dai videogiochi.
Una delle ragioni di questa situazione è, secondo un’indagine collaterale condotta dall’Università di Verona e dalla Glaxo, da attribuire al fatto che  il 50% delle famiglie italiane con bambini in età prescolare non dedica neppure un minuto al giorno per intrattenere i propri figli leggendo loro racconti o semplici letture. Paradossalmente le famiglie più insensibili sono quelle con elevato livello culturale e socio-culturalmente avvantaggiate.
Il fatto è grave perché, come  è dimostrato scientificamente, la lettura ad alta voce nei primi cinque anni di vita sviluppa il linguaggio dei bambini, alimenta e sostiene la fantasia e l’immaginazione, stimola in maniera significativa le capacità cognitive, sollecita il rapporto tra chi legge e chi ascolta incrementando e sollecita i rapporti sociali. 
Tra i consigli che vengono dati per incrementare lo sviluppo dell’abitudine alla lettura: tentare il primo avvicinamento anche con l’invenzione di qualche storia, fare avvicinare i più piccoli a libri come se fossero giocattoli anche utilizzando tutti quei libri che sono costruiti come veri e propri giocattoli, sollecitare la curiosità motivandoli all’ascolto, nonostante la convulsa quotidianità trovare almeno dieci minuti almeno due volte settimana per leggere  a voce alta ai bambini, trovare un angolo appartato e silenzioso in cui il bambino possa appartarsi e concentrarsi, evitare di scegliere, per loro, i libri che piacciono agli adulti, genitori o maestri che siano, non essere passivi e freddi lettori, ma calibrare il ritmo e le modalità della lettura alle sensazioni che ascoltando prova il bambino, ripristinare la fiducia nelle fiabe evitando tanti moderni atteggiamenti di riserva o di sfiducia, dare spazio alle osservazioni e alle domande che i ragazzi pongono mano a mano che si procede nella lettura.
Per quanto riguarda la televisione e  i video-giochi l’indagine dimostra che sarebbe impossibile bandirli completamente dalla vita dei bambini e dei ragazzi essendo essi ormai entrati a fare comunque parte di tutti i momenti della vita di oggi. Non è vero, d’altra parte che siano dannosi in senso assoluto e che debbano necessariamente essere demonizzati. Appartengono alla cultura della società complessa e postmoderna. Bisogna imparare a trarre dessi gli effetti positivi eliminando, per quanto possibile, quelli dannosi.
Gli adulti, genitori, insegnanti, psicologi, pedagogisti sono ancora una volta chiamati in causa per far sì che l’uso che di essi fanno i minori sia utile anziché dannoso.
Gli  effetti della televisione e dei videogiochi sulla psiche derivano dai contenuti e dal tempo che ad essi viene dedicato. Intanto non è dimostrato che prima dei tre o quattro anni i videogiochi facciano male anche  se in genere se ne consiglia l’uso tra i sei e i sette anni.
Da qui il problema del rapporto e delle interferenze tra i videogiochi e i processi di apprendimento.
Gli insegnanti più anziani notano che gli alunni di oggi sono più distratti, meno capaci di concentrazione e attribuiscono  il fatto all’uso e all’abuso del mondo delle immagini. Ovviamente questo non è affatto dimostrabile. È più verosimile che siano tante le cause delle risposte date dagli alunni di oggi.
È innegabile, d’altra parte, che l’uso dei videogiochi migliora la coordinazione oculo-motoria, ma soprattutto le capacità di interpretare i simboli e di utilizzarli con conseguenze, tante volte, pure benefiche nella vita quotidiana.
Il mondo delle immagini, come è risultato dalle indagini del Moige, ha un fascino particolare e facilita l’identificazione dei bambini con i personaggi, aiuta a imparare a pianificare le strategie, a controllare le situazioni, a valutarne subito gli effetti.
Con parsimonia i videogiochi potrebbero essere anche utilizzati a scuola nei processi di apprendimento visto il tipo di intelligenza che sollecitano, quella stimolo-risposta. L’intelligenza che non stimolano, invece, è quella critica, logica che dovrebbe essere alimentate da altri strumenti e da altre attività.
Ancora una volta, come si vede, è emerso che non serve demonizzare l’irruzione delle tecnologie nella vita dei ragazzi di oggi, né tanto meno nei processi di apprendimento. Ciò che conta è l’attenzione ai contenuti e ai tempo di impiego anche se è dimostrato che nella prima fase della vita, quella tipica della prima infanzia, dovrebbero prevalere occasioni per stimolare altri tipi di intelligenza, soprattutto quella affettiva e quella sociale.
È importante, in definitiva, che televisione, videogiochi ecc. non occupino tutto il tempo extrascolastico. La migliore strategia è quella finalizzata ad appassionare i ragazzi anche agli sport, alle amicizie, alla musica, alle letture ecc.
Tutto questo non lasciandoli abbandonati davanti alla televisione o ai vari videogiochi, evitando di riempire la loro stanza di tanti strumenti elettronici ed informatici, stando loro vicini, spiegando gli effetti positivi e quelli negativi e, quando proprio non se ne può fare a meno, scegliendo gli strumenti adatti alla loro specifica età.
Giuseppe Guzzo

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