Vanessa Niri, coordinatrice pedagogica e del Gruppo nazionale ‘Infanzia, adolescenza e politiche educative’ di Arci, impegnata pure nel contrasto alle povertà educativa nelle periferie urbane, pubblica per le Edizioni Terra Santa, “I bambini non perdonano. Che fine ha fatto l’infanzia al tempo del coronavirus”, un saggio che per un verso interroga e dall’altro tenta pure suggerimenti di soluzioni su cui tuttavia da anni si discute, ma senza approdare a nulla, o almeno a molto poco: come si vuole salvare una generazione di bambini e adolescenti imbattutesi loro malgrado nelle ragnatele del pandemico virus?
La prefazione del libro è affidata alla ben nota sociologa, filosofa e accademica Chiara Saraceno che già nelle prime battute rende il senso intino del saggio: l’Italia “non è solo un Paese dove nascono sempre meno bambini. È anche un Paese dove atteggiamenti e preoccupazioni contrastanti convergono nel sottovalutare i bisogni dei più piccoli e di chi è in crescita”.
Ma chi sono costoro in altri termini? Un esercito di 10 milioni di bambini e ragazzi tra 0 e 15 anni, condannati per lo più a pagarne un prezzo altissimo per causa della pandemia che li ha isolati e allontanati dal luogo deputato, la scuola, “per socializzare e cresce, chiedendo loro di abbandonare abitudini, rituali, necessità e sicurezze per non contagiare gli altri”.
Sicuramente, sottolinea Niri, un giorno verranno fuori “le responsabilità e gli errori, il dolore e il lutto, le conseguenze sull’economia e sui rapporti generazionali”, ma a pagare saranno comunque sempre loro e in modo particolare i bambini più fragili, mentre l’implementazione della didattica a distanza, seppure l’unico mezzo per garantire l’istruzione, è venuta “tardivamente, in modo molto disomogeneo anche dal lato dell’offerta. Secondo le stime dello stesso Ministero dell’Istruzione, c’è un 20% di studenti che non ha ricevuto nessuna offerta didattica, per mancanza di connessione digitale o altro. Questi dati sono corretti in peggio dall’Agcom, che stima in 10% la percentuale di studenti che non hanno potuto essere raggiunti dalla didattica online a causa della mancanza di connessione nei luoghi in cui vivono, cui aggiungere un altro 20% di studenti che sono stati raggiunti solo in modo erratico, vuoi per difficoltà di connessione, vuoi per mancanza di strumenti e competenze adatte, vuoi per altri motivi”.
Tuttavia, precisa l’autrice “questa totale noncuranza non è iniziata con la pandemia: è dagli anni Novanta che la nostra società ha spostato il cono di luce dai diritti dei bambini al loro ruolo di consumatori, cancellandone i bisogni reali e dando spazio solo a quelli indotti: dal merchandising, dalle proiezioni dei genitori, dalle aspettative di una civiltà invecchiata e di una scuola in stato di costante autodifesa”.
E inoltre, lo Stato, dando scarsa importanza ai bisogni reali dei bambini, distrattamente si è curato di loro, ritenendo che i bambini stiano sempre bene in famiglia e se devono essere lasciati è perché il lavoro dei genitori pressa, cosicchè si è puntato anche sulla presenza dei nonni che hanno supplito, e suppliscono, alla carenza dell’offerta pubblica. In più, si ritiene ancora che “i minori esistono esclusivamente in relazione agli adulti che devono prendersene cura”.
Un libro da studiare certamente e consultare speso, e non solo da parte di chi ha a che fare con bambini della primaria, ma anche con gli alunni delle secondarie di cui spesso di molti si perdono le tracce.
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