Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Giovanni Agnelli dal 2008, si intrattiene ancora sui Licei di 4 anni piuttosto che 5, osservando fra l’altro che “non è vero che dal punto di vista degli anni di scuola l’Italia sia un’anomalia: 13 anni è una durata frequente in Europa”.
Anche se, spiega Gavosto su Lavoce.info, il dibattito non cesserà a breve e considerato che se ne parla fin dai tempi della Riforma di Luigi Berlinguer (febbraio 2000 sul riordino dei cicli dell’istruzione), l’attenzione si è concentrata sugli esiti del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) nel quale potrebbe essere previsto proprio una riduzione della durata del secondo ciclo.
Una scelta, quella di abbreviare di un anno la durata dei Licei, che non ha nulla a che fare con la “vulgata” secondo la quale “negli altri Paesi la scuola si concluda a 18 anni e che, pertanto, gli studenti italiani, finendo a 19, siano penalizzati nell’accesso al mercato del lavoro rispetto ai loro coetanei europei.
In realtà, è un ragionamento semplicistico: quello che conta non è tanto l’età a cui si ottiene il diploma, ma il numero complessivo di anni di istruzione ricevuti e la qualità degli apprendimenti e quindi, a fortiori, anche l’età di inizio della scuola. Per quel che riguarda l’età iniziale, la situazione europea è molto variegata: il livello Isced 1, corrispondente alla nostra primaria, inizia a 4 anni in Irlanda del Nord, a 5 nel resto del Regno Unito (dove però non vi è un obbligo statale e spetta quindi ai genitori decidere quando far iniziare la scuola ai figli), 6 nella maggior parte del continente e 7 anni in alcuni paesi scandinavi. L’età di conseguimento del diploma vede due gruppi più o meno equivalenti di paesi: nel primo gli studenti terminano a 18 (comprende Francia, Paesi Bassi e Regno Unito), nell’altro a 19 (noi e i paesi del Nord Europa). In mezzo, vi è l’età dell’assolvimento dell’obbligo scolastico, che è quasi ovunque 16 anni, tranne che in Germania e Olanda. Diplomati a 18 anni”.
In ogni caso, precisa Gavosto nel suo intervento su Lavoce.info, ci sarebbero due ipotesi per ridurre di un anno il corso complessivo degli studi: “una traslazione dell’attuale sistema a partire da un anticipo ai cinque anni, sacrificando l’ultimo anno di scuola dell’infanzia; una contrazione a quattro anni della secondaria di II grado. La prima strada è più facilmente percorribile, poiché la percentuale di bambini che frequenta l’ultimo anno di scuola materna è superiore al 90 per cento. Incontra però l’opposizione di pedagogisti preoccupati che gli allievi non siano sufficientemente maturi per anticipare di un anno passaggi cruciali come quelli alla media e alle superiori (mancano però evidenze empiriche che confermino questa opinione) e, naturalmente, delle docenti dell’infanzia. La seconda strada porterebbe a significativi risparmi in termini di minori cattedre (valutabile in oltre 1 miliardo di euro a regime), ma richiederebbe un profondo (e peraltro necessario) ripensamento dei curricoli delle superiori”.
Interessante quando dice degli esiti delle sperimentazioni già avviate sui 192 istituti, di cui nulla è dato sapere, mentre occorrerebbe “un piano di valutazione di impatto scientificamente rigoroso che evitasse il rischio, molto concreto, che gli studenti che si sono iscritti al liceo di quattro anni costituiscano un gruppo selezionato per abilità o retroterra famigliare. Prima che la sperimentazione termini e ne vengano in qualche modo monitorati gli esiti, il ministro Bianchi ha comunque annunciato la volontà di estenderla dal prossimo anno scolastico ad altre mille scuole: decisione che suscita qualche dubbio di metodo e di merito, in una fase in cui avrebbe più senso concentrarsi sulla perdita di apprendimenti causata della pandemia”.
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