A partire dall’anno scolastico 2018/2019, le studentesse e gli studenti potranno raggiungere tutti gli Obiettivi Specifici di Apprendimento.
Ciò sarà possibile anche attraverso il potenziamento dell’orario, entro il quarto anno di studi e affronteranno l’esame di diploma secondo le tracce e i temi proposti dalla maturità quinquennale. L’obiettivo dovrebbe essere quello di adeguarsi ad alcuni percorsi educativi europei ed anticipare l’ingresso nel mondo del lavoro.
Tuttavia, questa nuova proposta del Governo, come del resto la Legge 107, più che riconfigurare gli assetti educativi e didattici del nostro sistema scolastico e migliorare gli insoddisfacenti risultati degli studenti italiani nelle prove nazionali e internazionali sulle competenze scolastiche, è sostanzialmente orientata alla razionalizzazione e al contenimento della spesa pubblica sull’istruzione.
Negli ultimi anni gli interventi di politica scolastica hanno sempre avuto finalità di carattere economico, utilizzato il deprecabile metodo di non coinvolgere mai gli insegnanti, alimentando in questo modo il clima di scontro con la scuola e, in modo particolare, con i docenti. Tutto precipita sempre dall’alto.
Nel lontano 1988, con il Progetto Brocca, una iniziativa di grande rilievo appoggiata anche dall’attuale Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che in quegli anni fu per un breve periodo Ministro della Pubblica Istruzione, si cercò, con il biennio comune, di assicurare un sapere comune a tutti, mentre con il triennio si costituirono programmi disciplinari esaustivi in cui vi era dentro tutto il sapere. La sperimentazione stava andando avanti con successo, ma Tangentopoli pose fine a questi governi e, di conseguenza, alla fine della sperimentazione e al varo della tanto attesa riforma della Scuola Secondaria Superiore.
Nel 1997 Berlinguer si adoperò per il riordino dei cicli d’istruzione, mentre con la Legge 6 agosto 2008 n. 133, vi furono tutta una serie di interventi e di misure concrete volte alla razionalizzazione del personale: aumento del rapporto alunni-docente; riduzione del personale ATA; riconduzione delle cattedre a 18 ore; accorpamento delle classi di concorso; ridefinizione dei curricoli, dei piani di studio e dei relativi quadri orario ecc.. Tutti provvedimenti tesi a produrre un risparmio di organico di 87.000 docenti e 44.500 personale ATA.
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Come si può ben notare l’ obiettivo primario da circa un decennio a partire dalla riforma Gelmini, la proposta di legge di Valentina Aprea, fino ad arrivare alla tanto odiata Legge 107/2015 del Ministro Giannini (tralasciando i brevi dicasteri dei Ministri Profumo (governo Monti) e Carrozza (governo Letta), nonostante le massicce assunzioni di docenti con contratto a tempo indeterminato, è sempre stato quello di ossequiare il Ministero delle Finanze, senza preoccuparsi minimamente di puntare ad una scuola di qualità attraverso progetti pedagogicamente ben strutturati e condivisi.
Non a caso, secondo il rapporto sulla scuola in Italia 2010 della Fondazione Giovanni Agnelli, le Indicazioni Nazionali per i Licei strutturalmente costruite intorno alle discipline, “non appaiono all’altezza delle attese e neppure degli stessi obiettivi dichiarati: in particolare il numero di ore dedicato all’insegnamento di matematica e scienze non risponde a una chiara strategia di rafforzamento generalizzato di questi saperi.
Ad esempio, secondo i nuovi quadri orari e rispetto al pre-riforma, nell’arco del quinquennio l’orario di matematica diminuisce nel liceo delle scienze umane, rimane sostanzialmente invariato nel classico e, di fatto, aumenta solo nel liceo scientifico tradizionale. Altrettanto in chiaroscuro la situazione delle scienze naturali e della fisica: in parecchi casi calano o restano stabili, in altri effettivamente crescono, senza che, però, sia mai del tutto evidente il disegno culturale e pedagogico. Ne consegue un quadro frammentato, dal quale sembra difficile attendersi risultati veramente significativi per l’obiettivo ambizioso del rafforzamento della cultura matematico-scientifica degli studenti italiani.
Analogo discorso può essere fatto, purtroppo, per l’insegnamento dell’ inglese, che in quasi tutti gli indirizzi perde ore rispetto alla situazione attuale de facto.
Orbene, se le attuali Indicazioni Nazionali per i Licei, già venivano considerate non all’altezza delle attese, prive di un disegno culturale e pedagogico, frammentate, in base a quale ipotesi di ricerca educativa e didattica il Ministro, anticipando la maturità e riducendo, comunque, di un anno il naturale percorso formativo, pensa di poter fornire allo studente le conoscenze, le abilità e le competenze per la prosecuzione degli studi o per un corretto inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro?
Si parla, genericamente, di sperimentazione senza, tuttavia, fornire alcuna base scientifica e teorica, come invece accadde per il “Progetto Brocca”, su tutta l’inter-azione tra l’educando e gli stimoli, le offerte e le attese che la scuola dovrebbe avanzare nei suoi riguardi.
Il rischio concreto è quello di formare ragazzi non adeguatamente idonei e maturi, come è accaduto con la moda dell’anticipazionismo nella primaria che nel tempo ha fatto registrare un significativo calo in termini di apprendimento, per affrontare con serenità ordinamenti scolastici che sono la progressiva continuazione del grado precedente, tappe progressive tra le funzioni del soggetto in sviluppo e i contenuti disciplinari da realizzare gradualmente nell’educazione.
Forse sarebbe il caso di ricordare al ministro la vecchia locuzione latina di Leibniz “Natura non facit saltus”, la natura non fa salti, ovvero, nella natura tutto va per gradi. Pertanto, evitiamo di alterare il naturale sviluppo dei ragazzi e facciamo sì che possano crescere e maturare in maniera organica, corretta e consapevole. Ogni forzatura è inganno.
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