Col consueto trionfalismo, fine gennaio 2022 è stata annunciata la grande innovazione: il “Liceo quadriennale per la Transizione Ecologica e Digitale” (“TED”). Il progetto coinvolgerà 27 scuole superiori italiane, col supporto del Consorzio ELIS («realtà no profit che forma persone al lavoro, sulla scia dei valori di san Josemaría, fondatore dell’Opus Dei»). Collaboreranno ben quattro prestigiose Università: Politecnico di Milano, Università di Padova (e il suo ”spin-off“ Mind4Children), Bocconi, Università di Roma Tor Vergata.
Alla base del percorso didattico (ovviamente quadriennale, come previsto dal PNRR e come pervicacemente voluto da tutti i governi dell’ultimo lustro), of course le discipline STEM (“Science Tecnology Engineering Mathematics”). Non è chiaro se si voglia prescindere da qualsiasi approccio storico-sociale e politico allo studio. Il pensiero critico, d’altronde, oggi sembra non servire: basta la fede nelle discipline STEM, le uniche capaci di donare la felicità (ossia il lavoro nell’industria come tecnici: ma il tecnico deve limitare la propria preparazione al tecnicismo? un bravo tecnico non ha bisogno di saper pensare?).
«Sostenibilità e transizione ecologica e digitale son temi centrali nella nuova scuola che stiamo costruendo»: parola del Ministro Bianchi. E chi potrebbe mai dubitarne?
Il Consorzio ELIS (“Educazione Lavoro Istruzione Sport”) si propone di «offrire ciascuno la possibilità di costruire il proprio progetto di vita. Si impegna per questo ad annullare le distanze che separano giovani e disoccupati da una formazione di alta specializzazione, le periferie sociali dai centri dello sviluppo, le start-up dalle grandi aziende, i sistemi della formazione dal mondo del lavoro». Il Consorzio di Aziende ELIS (CONSEL) «raccoglie in un rapporto stabile di collaborazione oltre 100 grandi gruppi, piccole e medie imprese, start-up e università». Tra i quali, nomi assai celebri (ma non per l’ambientalismo): ANAS, ENI, ENEL, Huawei, IBM, Monte Paschi, Thales Alenia Space. C’è anche SNAM (“Società NAzionale Metanodotti”: anche se, com’è noto, il metano è uno dei più pericolosi gas serra climalteranti); c’è Leonardo (potente multinazionale che produce armamenti di sofisticatissima tecnologia); Autogrill (multinazionale che gestisce la ristorazione in autostrade, aeroporti e ferrovie); DHL (multinazionale di trasporti e logistica); Toyota (la massima multinazionale automobilistica giapponese); ManpowerGroup Inc. (agenzia multinazionale statunitense del lavoro e delle risorse umane, la terza al mondo per importanza).
Possibile si tratti di Greenwashing? Il termine definisce l’ecologismo di facciata di quelle istituzioni o multinazionali che curano la propria immagine presentandosi come attive sul piano dell’ambientalismo, per nascondere alla pubblica opinione i disastri ambientali da esse provocati. Non sarebbe una novità: lo si fa dagli anni ‘70, quando nacquero i primi movimenti ecologisti e le contestazioni ai colossi dell’industria mondiale e ai danni da essi causati.
Per tutte queste grandi aziende la partecipazione al progetto “Liceo TED” ha forse lo scopo principale di rifarsi un bel maquillage ecologico? Non osiamo sospettarlo: sicuramente alla base di cotanto impegno del Governo e delle aziende c’è un sincero e disinteressato desiderio di salvare l’umanità dalla catastrofe climatica imminente. Qualche dubbio però potrebbe nascere: soprattutto in chi conoscesse le notizie riguardanti il disastro ecologico attribuito ad ENI nel 2010 in Nigeria (ove peraltro ENI stessa avrebbe praticato il gas flaring, che riempie l’atmosfera di masse incalcolabili di CO2); quello della Val d’Agri in Basilicata; quelli di Gela e Ragusa in Sicilia; quelli di Montenegro, Kazakistan, Ecuador. Senza contare che potrebbe risultar sospetto il fatto che multinazionali petrolifere, dei trasporti, degli armamenti, si ritrovino improvvisamente folgorate sulla via di Damasco dalla rivelazione della necessità d’impegnarsi nella lotta alle emissioni di gas climalteranti.
Come sospetta potrebbe apparire l’idea di legare l’ecologia alla “transizione digitale”, che di ecologico ha poco o nulla. Scrive Repubblica nel novembre 2021: «L’inquinamento da digitale è dovuto ai combustibili fossili usati per produrre l’energia necessaria ai data center e ai server. Ma l’inquinamento arriva anche dagli stessi siti, dal cloud, dall’e-commerce e dallo streaming». Scrive SkyTg24 nell’aprile 2021: «il Web è la quarta nazione al mondo in termini di consumo energetico ed emissione di CO2, dopo Cina, Stati Uniti e India. Parliamo di 1.850 milioni di tonnellate di CO2 in un anno». Scrive Il Sole 24 Ore nel novembre 2020: «Attenzione, però, perché questa stima risale a prima del Covid-19. Ed è molto probabile che oggi sia addirittura superiore, con l’aumentato l’uso della rete per smart working e film in streaming e altro». Dunque cosa avrebbe a che fare la transizione ecologica con quella digitale?
È poi etico attrarre i giovani in un “Liceo” che sbandiera ecologia e “digitale” per immetterli nell’industria (e difficilmente come personale dirigenziale)? E in questo “Liceo” di soli quattro anni che ruolo avrebbe il latino? Quale posto troverebbero letteratura, storia e filosofia? Domande che paiono un indovinello avvolto in un mistero all’interno di un enigma, malgrado l’intenzione dichiarata di unire materie umanistiche e scientifiche alle STEM.
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