Cresce il numero dei dipendenti pubblici licenziati: nel 2019, ha fatto sapere il ministero della Pubblica amministrazione, sono stati messi fuori dalla porta ben 520 dipendenti statali, con un incremento del 35% rispetto all’anno precedente.
L’incremento di lavoratori pubblici messi alla porta riguarda anche la scuola: se nel 2017 erano stati 72 i docenti ed Ata licenziati, in prevalenza per reiterate assenze non giustificate, l’anno scorso il numero dei licenziamenti complessivi nella scuola è schizzato a 119.
Quindi, in un solo biennio, il comparto scolastico è quello che ha fatto registrare un incremento decisamente alto: di ben il 66%.
I motivi principali che comportano la sanzione più grave, quale è appunto il licenziamento,
sono più o meno gli stessi degli anni passati: assenze ingiustificate o non comunicate nei termini, falsa attestazione della presenza, avere commesso dei reati, negligenza o comportamento non corretto nei confronti di superiori, colleghi oppure fruitori del servizio pubblico.
Asl e Aziende ospedaliere sono i comparti che hanno fatto registrare il maggior numero di licenziamenti (147) seguiti dai Comuni (137) e dalle istituzioni scolastiche (119).
Percentualmente, tuttavia, sono le università e enti pubblici vari (35%) i settori con la maggiore frequenza di provvedimenti sanzionatori gravi che arrivano al licenziamento.
Va comunque ricordato che il numero di licenziamenti rimane minimale rispetto a quello delle azioni disciplinari intraprese: a fronte di 12.051 procedimenti disciplinari (l’anno pima erano 10 mila), solo 520 sono terminati con il licenziamento: meno del 5%.
Oltre ai licenziati, ci sono i lavoratori pubblici sospesi, a cui si aggiungono quelli in attesa di valutazione o del rito penale, per un totale di 143.
Rimane il fatto che da quando viene pubblicato il report da parte della funzione pubblica, non si era mai giunti a questi numeri.
L’incremento andrebbe fatto risalire alla “stretta” prevista dalla cosiddetta Legge Madia, che tre anni fa ha velocizzato i tempi per l’espulsione di chi commette una grave infrazione, tale da comportare l’avvio dell’azione disciplinare che arriva al licenziamento.
Ma non è una conseguenza dell’abolizione dell’articolo 18 della Legge 300/70 e del Jobs act.
Anche se la Cassazione si è pronunciata sul licenziamento di un lavoratore statale siciliano, spiegando che l’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e le norme introdotte con il Jobs act che rendono più facili i licenziamenti, valgono anche per gli statali, di fatto la figura disciplinare che porta l’amministrazione comminare le varie sanzioni rimane abbastanza lunga e complessa. Inoltre, la “giusta causa” per i dipendenti pubblici è rimasta sostanzialmente intatta.
Il lavoratore pubblico che viene messo alla porta in modo illegittimo ha facoltà di chiedere di fare richiesta al giudice (entro 180 giorni dal momento in cui viene impugnato e non più di 270, dopo la riforma del 2012), al fine di essere reintegrato o per chiedere un risarcimento.
E quando viene appurata la “illegittimità” del licenziamento, la mancata “giusta causa”, scatta la mancanza del motivo valido del provvedimento.
È pertanto auspicabile che la Funzione pubblica rendesse noti anche i dati dei lavoratori statali licenziati che fanno ricorso e vengono poi reintegrati sul posto di lavoro dal giudice: quel 5% scarso di azioni disciplinari concluse con licenziamento si ridurrebbe ancora di più.
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