La Corte di Cassazione è intervenuta a far luce su una questione molto importante per i docenti precari: anche per loro, infatti, in caso di licenziamento, vale lo stesso limite di tempo dei colleghi di ruolo per presentare ricorso.
Infatti, la sentenza 23861 della Cassazione depositata nella giornata dell’11 ottobre 2017, ha chiarito che non sussiste alcuna differenza tra rapporto di lavoro a tempo determinato e rapporto di lavoro a tempo indeterminato in ordine al termine per impugnare il licenziamento.
La sentenza riguarda il caso di un docente precario di scuola media, assunto con contratto a tempo determinato da gennaio a giugno 2012. In seguito ad alcune segnalazioni del personale della scuola, si legge su Il Sole 24Ore, l’insegnante veniva prima sospeso a marzo e poi destituito dal servizio, pochi giorni prima della scadenza del contratto di supplenza, all’esito del procedimento disciplinare a suo carico.
Tuttavia, l’insegnante in questione ha deciso di impugnare il provvedimento, chiedendo alla scuola il pagamento dei giorni di lavoro che gli spettavano da contratto.
Rivolgendosi ai giudici, sia in primo che in secondo grado questi hanno respinto il ricorso per motivi formali, in quanto egli aveva presentato l’impugnazione stragiudiziale del suo licenziamento oltre il termine di 60 giorni previsto dall’articolo 6 della legge 604/1966, recante norme sui licenziamenti individuali.
L’insegnante però, rivolgendosi alla Cassazione, fa notare che tale termine per impugnare il provvedimento varrebbe solo per i docenti di ruolo, non per quelli assunti a tempo determinato.
Ma i giudici della Cassazione non condividono la posizione del ricorrente, argomentando che non esiste differenza fra assunti a tempo indeterminato e a tempo determinato per presentare ricorso: effettuando una puntuale esegesi della normativa sull’impugnazione dei licenziamenti, modificata prima dalla legge 183/2010 (cosiddetto Collegato lavoro) e poi dalla legge 92/2012 (riforma Fornero), chiariscono che l’articolo 6 della legge 604/1966 prevede un termine di decadenza di 60 giorni per l’impugnazione stragiudiziale del licenziamento. E tale termine si applica «a tutti i casi di invalidità del licenziamento», compresa l’ipotesi di recesso per giusta causa in relazione a un rapporto di lavoro a tempo determinato, in virtù dell’estensione operata dall’articolo 32 della legge 183/2010, da considerare come una norma di chiusura del sistema.
Pertanto, conclude il Collegio, “non si ravvisa alcuna ragione di ordine ermeneutico per la quale l’ipotesi del licenziamento per giusta causa irrogato quale sanzione disciplinare in costanza di un regolare rapporto di lavoro a tempo determinato debba restare estraneo” al campo di applicazione della normativa sul tema.
Di conseguenza, il supplente viene condannato al pagamento delle spese di 4000 euro, oltre alle spese prenotate a debito.
Sentenza Precari Licenziamento
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