A chi spetta la competenza per il licenziamento disciplinare?
La risposta sembrerebbe scontata, in quanto l’art. 55-bis del D.Lgs. n. 165/2001 (cosiddetto “Testo Unico del Pubblico Impiego”) stabilisce chiaramente la competenza dell’Ufficio competente per i Procedimenti Disciplinari (UPD).
Tutte le amministrazioni sono tenute pertanto a costituire tale organismo che ha il compito di contestare al dipendente le mancanze di cui ha avuto notizia, avviando così il procedimento.
Il dipendente verrà dunque convocato per essere ascoltato, con la facoltà di farsi assistere da un procuratore o da un rappresentante sindacale.
Lo stesso dipendente ha diritto all’accesso agli atti del procedimento, mentre l’Ufficio per i procedimenti disciplinari può acquisire da altre amministrazioni pubbliche informazioni o documenti rilevanti per la definizione del procedimento.
Il procedimento dovrà comunque concludersi, con l’archiviazione o con la sanzione, entro centoventi giorni dalla contestazione dell’addebito.
Tale termine è perentorio, vale a dire che il suo superamento comporterà la nullità della sanzione.
La Corte di Cassazione si è occupata, con sentenza n. 1296/2022 depositata il 17 gennaio 2022, del caso di una dipendente che aveva impugnato il licenziamento disciplinare sostenendo, tra l’altro, che lo stesso era stato disposto dal Responsabile dell’Ufficio per i Procedimenti Disciplinari (e non dall’Ufficio stesso).
La Corte si è pertanto soffermata ad affrontare il problema della natura collegiale di tale struttura e della possibilità per il singolo componente (seppure con funzioni apicali) di adottare il provvedimento in prima persona.
Si tratta di una questione particolarmente delicata, in quanto – com’è noto- trattandosi di un organo “perfetto”, esso deve agire con la presenza di tutti i suoi componenti.
Tale regola risulta mitigata dal fatto che -secondo la giurisprudenza amministrativa- il “plenum” non è necessario per il compimento di atti istruttori, ma solo quando l’organo è chiamato a compiere valutazioni tecnico – discrezionali o assumere decisioni.
Inoltre, in più occasioni la Corte ha rilevato che la formazione della volontà resta distinta dalla sua manifestazione e dunque non è necessario che il provvedimento finale sia sottoscritto da tutti i componenti dell’organo collegiale, in quanto all’esterno l’organo agisce “in persona del soggetto che lo rappresenta”.
Tuttavia, nel caso in specie, la Corte d’appello era stata chiamata a verificare se anche la formazione (e non solo la manifestazione) della volontà, fosse riconducibile al solo Dirigente.
Verificato in sede di merito che la decisione era stata presa solo dal Dirigente, il licenziamento è stato ritenuto illegittimo.
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