Categorie: Politica scolastica

Licenziare i docenti? Licenziamo piuttosto chi maltratta la scuola

 

Il volto di una scuola è quello delle persone che ci lavorano. Sapere che i cittadini la considerano uno dei servizi che funzionano meglio – come ci dice l’indagine presentata ieri a Palermo nell’ambito di “Repubblica delle Idee” – è una grande soddisfazione proprio per chi, ogni giorno, fa vivere la nostra scuola con l’impegno e la dedizione di un lavoro sempre più difficile da svolgere e mai adeguatamente compensato.
Ci si aspetterebbe, da chi governa il sistema dell’istruzione pubblica, un cenno di soddisfazione e apprezzamento: ed ecco invece l’ennesima incauta esternazione della ministra Giannini che, intervistata da Repubblica, lamenta l’impossibilità di licenziare gli insegnanti, a causa dell’eccessiva sindacalizzazione del settore.
C’è da rimanere francamente sconcertati per la superficialità e la gratuità di simili affermazioni, di cui si fa molta fatica a cogliere il senso.
Partiamo dalla prima: ammesso – e non concesso – che sia questo il problema di cui soffre la nostra scuola, ma dove sta scritto che non si possono licenziare gli insegnanti? Quali norme lo proibiscono? Di quali speciali immunità godrebbero i nostri docenti?
Ce lo dica la ministra, perché a noi non risulta che le cose stiano così. Da sempre chi non fa il suo dovere o non è in grado di svolgere il suo lavoro può essere sanzionato: che questo debba avvenire a conclusione di procedimenti in cui sia riconosciuto il diritto alla difesa non ci sembra un  privilegio, ma un principio di civiltà. E’ questo che la ministra intende per eccesso di sindacalizzazione?
E veniamo al secondo punto.
E’ vero, nella scuola italiana si esprime una presenza sindacale particolarmente forte: lo dimostra l’alto tasso di adesione alle diverse sigle, lo conferma il fatto che alle ultime elezioni per le RSU abbia partecipato al voto – con maggioranza quasi plebiscitaria di consensi per le sigle firmatarie del CCNL – il 90% della categoria. Si può capire che la ministra Giannini non sia perfettamente a suo agio quando si parla di consensi ottenuti, ma siccome fa parte di un governo il cui premier non perde occasione di vantare il suo 41% di voti (sul 60% degli aventi diritto), abbia per i sindacati un po’ più di attenzione e di rispetto, evitando di chiamarli in causa a sproposito e prestando loro un po’ più di ascolto nelle sedi dovute.
Avrebbe anche modo di rendersi conto che i maggiori sindacati scuola, e per quanto ci riguarda la Cisl Scuola, esprimono una realtà ben diversa da quella che le sue parole lasciano intendere.
Noi rappresentiamo, cercando di farlo al meglio, quei lavoratori che nonostante tutto rendono la nostra scuola meritevole di un apprezzamento nettamente superiore a quanto avviene per altri servizi e istituzioni pubbliche.
Come per la stragrande maggioranza di lavoratori, la nostra attenzione ai doveri è almeno pari a quella che poniamo nella tutela dei diritti, e il nostro apporto all’elaborazione e all’attuazione dei più significativi processi di innovazione della scuola italiana è ampiamente documentabile.
La ministra si informi. Altro che remore e zavorre: se il crescente disagio in cui è costretto a lavorare il personale della scuola si esprime comunque in una dialettica costruttiva, e non in forme di ribellismo esasperato, forse un po’ di merito va anche a chi ne esercita la rappresentanza sul piano sindacale.
Invece di sognare il licenziamento dei docenti e parlar male dei sindacati, la ministra si impegni piuttosto a verificare che le parole altisonanti riversate quotidianamente sulla scuola dal suo governo non siano contraddette così frequentemente dai fatti: in ultimo dalla legge di stabilità presentata in questi giorni, che alla scuola regala solo qualche instabilità in più, tagliando il personale ausiliario (altro che aumentare gli orari di apertura!) e togliendo ai dirigenti scolastici – oltre a un pezzo di stipendio – ogni supporto di collaborazione.
L’impressione è che dietro agli slogan e agli effetti speciali di una “consultazione” ridotta a kermesse si nasconda il solito modo di (mal)trattare la scuola – senza alcun rischio di licenziamento – di troppi ministri e troppi governi.

 

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