Intervengo, per vari motivi, sul caso del liceo romano “Pilo Albertelli”, il cui Consiglio di Istituto ha rifiutato i circa trecentomila euro che il PNRR metteva a disposizione della scuola. Il primo motivo è che, sebbene, la notizia sia ormai “vecchia” di alcuni giorni, non mi pare che tutti i temi messi in campo dalle dichiarazioni pubbliche sull’argomento siano stati sufficientemente illuminati.
I fatti sono noti: Il 4 maggio scorso il dirigente scolastico presenta al Consiglio d’Istituto due progetti legati all’accesso ai fondi del PNRR.
Tali progetti vengono respinti con 7 voti contrari (4 docenti, 1 studente, 2 genitori), 2 favorevoli (dirigente scolastico e 1 genitore) e 4 astenuti (3 studenti, 1 personale ATA). La notizia riscuote interesse ed è fatta oggetto di parecchi commenti ed interventi. Spicca tra questi l’articolo apparso su La Repubblica il 15 maggio scorso, firmato da Valentina Lupia. Merita di essere di nuovo tirato in ballo poiché usa metodi discutibili per fare informazione, a partire dal titolo: “Ai ragazzi non serve la tecnologia”: al Liceo Albertelli di Roma battaglia contro i soldi del Pnrr.
Il messaggio è chiaro: al Liceo “Pilo Albertelli” ci sono alcuni retrogradi imbecilli che prendono la parola e decidono per tutti. La giornalista, evidentemente, ha estrapolato poche parole da un discorso molto più articolato. Infatti, sui documenti prodotti dai “rivoltosi” dell’Albertelli, le cose stanno diversamente: i due genitori del consigli di Istituto che hanno sottoscritto la prima dichiarazione sul tema, sottolineano che la scuola dispone di 41 smart TV, 7 proiettori, 49 PC Notebook, 41 PC Desktop ed è “irrazionale ed antieconomico sobbarcarsi collettivamente un debito di circa 150.000 euro per ulteriori attrezzature multimediali che hanno una vita media brevissima…”
Questo soprattutto se l’abbondanza di materiale tecnologico è sgradevolmente contrappuntata da carenze strutturali, “assenza di manutenzione e sicurezza, classi sovraffollate, precarietà permanente di docenti e personale ATA”. Come dar loro torto? Come dimenticare il materiale tecnologico obsoleto che intasa i magazzini delle scuole? Le LIM acquistate con un mucchio di soldi pubblici (compresi i costi dei corsi fatti per i docenti affinché fossero in grado di usarle) sono state sostanzialmente rottamate quest’anno, dopo aver spesso adornato le pareti di aule fatiscenti.
Chi ha scritto i progetti respinti? Il dirigente scolastico!
Apprendiamo inoltre, da un articolo del 16 maggio scorso, sempre apparso su La Repubblica, che i progetti “bocciati” sono stati scritti dal dirigente scolastico! Ha accolto, sì, alcuni suggerimenti, ma nessuno lo ha aiutato nel lavoro di stesura; tali progetti sono stati presentati il ”24 e 25/02/2023 ma portati a conoscenza dei consiglieri di istituto solo il 28/04/2023 senza essere stati sottoposti né al collegio dei docenti e neppure alla competente commissione nominata dallo stesso collegio”.
Ecco un altro punto dolente: lungi dall’essere frutto di una discussione collettiva, i due progetti erano stati “creati” dal dirigente. Come mai nessun altro è intervenuto? Come mai il Collegio docenti non è stato convocato, una volta concluso il lavoro di progettazione? Perché tanta mancanza di partecipazione e così scarso rispetto dei compiti e del parere del Collegio? Immaginiamo che la splendida solitudine del preside, abbandonato persino dalla commissione nominata all’uopo, sia più il frutto di un clima già conflittuale che non una testimonianza di fiducia verso il dirigente stesso, il quale, adesso, non esita a parlare dello spettro del “commissariamento”, che deciderà comunque come tutti quei soldi debbano essere spesi.
I fondi destinati alla “scuola 4.0” debbono essere spesi per forza
Perché, il punto è questo, i soldi del PNRR DEBBONO essere spesi. Qualcuno obietterà che quei soldi non ce li hanno regalati e che dovranno essere restituiti; qualcun altro, più “ideologico” tirerà fuori dalla naftalina la “libertà di insegnamento”; qualcun altro, un po’ più moderno, farà appello all’autonomia scolastica.
Ma, come si è visto, la maggioranza, davvero “post-ideologica, sarà pronta a fare la cosa giusta: dare uno entusiasta assenso alla spesa, dimentichi di tutta quella serie di buone ragioni che i genitori del liceo “Pilo Albertelli” mettono in campo.
Il documento è accessibile qui; raramente ho letto un testo così preciso nell’individuare responsabilità che riguardano il governo della scuola, nell’indicare le conseguenze negative di fatti apparentemente positivi, nel prospettare soluzioni diverse da quelle che vanno per la maggiore.
Al polo opposto, quanto a precisione, capacità critica, conoscenza dei problemi materiali della scuola e attenzione al delicato processo educativo, si collocano i due articoli di Repubblica citati in precedenza. Nel primo si facevano passare per retrogradi e ridicoli nemici del “progresso” coloro che avevano bocciato in Consiglio d’Istituto i due progetti presentati dal dirigente Antonio Volpe. A leggere con minima attenzione l’articolo del giorno successivo, il dirigente stesso non è che presenti bene i “suoi” progetti; dichiara che, almeno uno dei due “è un’iniziativa molto più standard, il progetto chiedeva di modernizzare con strumentazioni tecnologiche almeno il 50% delle aule. E così ho proposto: 20 aule”. Perfetto, molto originale, tagliato come un abito sartoriale sui bisogni della comunità educante di cui il professor Volpe è a capo. E il primo progetto non è più brillante: con esso il preside ha “cercato di valorizzare quel che già c’è, dalla biblioteca agli spazi museali, aree da rendere moderne e multimediali e dove fare laboratori. Stessa cosa con ‘Le mie competenze’, visto che già ci occupiamo di certificazioni. Un modo anche per rendere la scuola più interessante dopo il calo d’iscrizioni”.
Insomma, per chi mastichi un po’ il burocratese di basso livello che costituisce quasi sempre il registro linguistico dei millanta “progetti” che hanno inquinato le acque delle scuole italiane, qui c’è una sintesi di logori luoghi comuni, dalla certificazione delle “competenze” all’idea che il liceo “Albertelli” debba rendere la propria offerta “più interessante” per contrastare il calo di iscrizioni.
Scuola 4.0: tanti fondi, spesi male
In ogni caso che centinaia di migliaia di euro vengano spesi in interventi inessenziali laddove l’essenziale manca è di per sé criticabile; spiace che su 8.230 istituti italiani totali ben 8.170 abbiano trovato buone ragioni per dire di sì a questo flusso di denaro. E spiace ancor di più che, nel momento in cui una scuola, in tutte le sue componenti, dimostra sensibilità civile, prende sul serio lo scaricare sulla collettività un debito ingente che si sospetta non porterà un cambiamento in meglio nella didattica e rifiuta tale spesa, venga presa di mira e criticata con argomenti ingiusti.
I due progetti respinti non sono frutto di un lavoro meditato e collettivo, ma piuttosto l’adempimento burocratico di una richiesta dall’alto da parte del capo di Istituto; ci si dovrebbe chiedere piuttosto a chi serve che le scuole abbiano a disposizione queste somme ingenti da investire in materiale tecnologico. La risposta è banale: serve a chi produce e commercia questo materiale.
L’avevamo già detto e lo ripetiamo volentieri: la gran parte delle scuole si è trovata in difficoltà nel produrre “progetti” per la scuola 4.0. Lo dimostrano in modo palese le moltissime offerte di ditte che si occupano di informatica e che “aiutano” le scuole a soddisfare le richieste della scuola 4.0, proponendo soluzioni “chiavi in mano”.
L’eccezione del liceo “Albertelli”
Questo, grosso modo, lo stato delle cose. Così facendo, continueremo a veder crescere l’analfabetismo tra i diplomandi; continueremo a proporre la tecnologia come rimedio magico per la evidente crisi educativa che affligge i nostri tempi; continueremo ad indirizzare risorse della collettività verso il profitto privato; continueremo a confondere ciò che a scuola è strutturale con ciò che è superfluo. È giusto perciò dire grazie alla comunità dell’ “Albertelli”, per una ottima ragione: ha dimostrato di avere una visione alta della scuola e dell’educazione, di aver capito che la tecnologia è un mezzo e non un fine e ha avuto il coraggio di dire “no”.
Tanti anni fa già Ivan Illich muoveva una critica profonda alla tecnocrazia: “Lo strumento è inerente al rapporto sociale […] A seconda che io lo padroneggi o che viceversa ne sia dominato, lo strumento mi collega o mi lega al corpo sociale. Nella misura in cui io padroneggio lo strumento, conferisco al mondo un mio significato; nella misura in cui lo strumento mi domina, è la sua struttura che mi plasma e informa la rappresentazione che io ho di me stesso”.
Noi adulti chiediamoci quanto i nostri figli padroneggino gli strumenti informatici o ne siano padroneggiati; interroghiamoci sui motivi del numero crescente di certificazioni che attestano un qualche handicap negli studenti di ogni grado di scuola; chiediamoci se è meglio un ambiente smart di apprendimento o un insegnante preparato, sereno, disponibile al colloquio.
Queste ed altre domande la comunità dell’”Albertelli” se le è poste – ed ha deciso di rifiutare uno spreco di denaro pubblico, al di fuori di ogni dignitosa idea di istruzione e di educazione. Non possiamo che incoraggiarli e sperare che sempre più docenti, studenti, genitori abbiano voglia di respingere un’idea di scuola tecnocratica, falsamente meritocratica, poco in grado di trasmettere le conoscenze di base e che senta la necessità di affermare un altro modello scolastico, più giusto, più sobrio, in grado di trasmettere cultura, in grado di far crescere cittadini capaci e desiderosi di pensare con la propria testa.
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