Finite le elezioni politiche, ora l’attenzione e le energie degli eletti sono tutte per il nuovo Governo. E per la coalizione di Centro-Destra potrebbe essere un passaggio tutt’altro che indolore. I leader hanno cominciato a sondare il campo. Mercoledì 28 settembre, mentre il Consiglio dei Ministri si riuniva per la Nota di aggiornamento al Def e alcuni decreti attuativi del Pnrr, Giorgia Meloni, prossima probabilissima premier (la prima volta in Italia per una donna), ha incontrato a Montecitorio il leader leghista Matteo Salvini (appena confermato a capo del Carroccio malgrado per la Lega l’esito dell’urna si fosse rivelato semi-catastrofico): al termine dell’incontro, una nota congiunta evidenzia “grande collaborazione e unità di intenti” da parte di “entrambi i leader”, che hanno anche “espresso soddisfazione per la fiducia data dagli italiani alla coalizione e hanno ribadito il grande senso di responsabilità che questo risultato comporta. Meloni e Salvini hanno fatto il punto della situazione e delle priorità e urgenze all’ordine del giorno del governo e del Parlamento, anche alla luce della complessa situazione che l’Italia sta vivendo”.
Intanto, si comincia ad ipotizzare come si comporrà l’Esecutivo targato Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia. Anche di chi a viale Trastevere succederà a Patrizio Bianchi: ogni partito ha i suoi esperti di scuola, ma al momento uno dei nomi più accreditati è certamente quello di Licia Ronzulli, fedelissima di Silvio Berlusconi, accostata anche al dicastero della Salute.
L’ipotesi della nomina di Ronzulli all’Istruzione, è bene dirlo, circola da qualche giorno. Ma va presa come tale: poco più d’un rumors.
Anche perché al ministero dell’Istruzione praticamente tutti ritengono auspicabile che debba andare un politico o un tecnico in grado di reggere l’urto dei tanti problemi che attanagliano il settore: dal contratto da rinnovare il prima possibile e con risorse aggiuntive agli oltre 15 miliardi in arrivo dal Pnrr che il ministro uscente reputa intoccabili, fino alle riforme approvate nelle ultime settimane (istituti tecnici e professionali, reclutamento, formazione, ecc.) che necessitano di urgenti decreti attuativi. Oppure di miglioramenti, come nel caso del Decreto Aiuti Ter atteso dalla fase di conversione in legge.
C’è poi un anno scolastico da gestire praticamente quasi per intero, con tutti i problemi che comporta (alcuni dei quali annosi, altri legati al Covid): dalla mancanza di docenti, soprattutto di sostegno specializzati, ai concorsi che stentano a decollare, passando per l’ammodernamento di tante scuole (la parte più corposa dei fondi europei del Pnrr), le questioni classi pollaio da cancellare e il tempo pieno per tutti gli anni così difficile da realizzare.
È evidente che per affrontare tutto questo (ma la lista sarebbe lunga…) avvalendosi di un ministro addetto ai lavori, si potrebbe sperare di avere molti più risultati. Le questioni intricate del dicastero dell’Istruzione da affrontare sarebbero così complesse che più di qualche politico della coalizione di Centro-Destra avrebbe indicato l’intenzione di lasciare volentieri la mano.
Fermo restando che il passaggio chiave rimarrà sempre e comunque il via libera di risorse da parte del Governo: quel via libera che negli ultimi lustri è arrivato quasi sempre per togliere anziché dare alla scuola.
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