Fra le varie – più o meno fantasiose – rivendicazioni che gli studenti avanzano in occasione dei loro scioperi e delle loro occupazioni ce n’è una, comparsa proprio in un articolo sulla “Tecnica”, che mi ha colpito ed incuriosito: qualcuno ha detto “vogliamo parlare di sessuoaffettività”.
Pur nel rispetto delle opinioni di ciascuno, dalle più giustificabili alle più strampalate, questa richiesta mi ha fatto venire in mente le parole di due miei amici docenti universitari, che mi hanno raccontato due curiosi – per non dire vergognosi ed allarmanti – episodi purtroppo veri. Uno è professore ordinario di chimica e mi ha raccontato che un suo studente in occasione di un esame ha scritto nel suo compito: “all’uminio”; l’altro è docente di antropologia e mi ha raccontato di un suo studente che ha così diviso fra una riga e la successiva la parola “proscimmie”: pros-cimmie”.
E come dimenticare i candidati che all’esame da procuratore scrivono “veperata quaestio” invece di “vexata quaestio” perché conosco la “x” solo come sostituto di “per” da usare negli sms?
A questo punto qualcuno potrebbe chiedersi: “ma cosa c’entra questo con la sessuoaffettività? C’entra eccome, perché finché a scuola – dalle elementari alle superiori – si parla (troppo) di sessuoaffettività e poco della grammatica italiana e magari anche latina, avremo sempre copiosi esempi tipo “all’uminio”, “pros-cimmie” e “veperata”.
E queste mostruosità non succedono solo in Italia, ma anche in vari Paesi stranieri. Quanti lanciano l’allarme, che però rimane inascoltato (per convenienza?).
E’ chiaro che poi all’università arrivano personaggi che ne sanno meno di quanto ne sapevano gli studenti di 60 – 70 anni fa alla fine della scuola dell’obbligo.
Chi vuole tutto questo e perché?
Daniele Orla
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