Sento che alcuni pedagogisti anche di grido sostengono l’inutilità della memoria, delle nozioni e dei compiti a casa (cioè dell’allenamento). Al grido di “Basta studio mnemonico!” e “Basta compiti a casa!” propongono rivoluzionari metodi educativi che, a loro dire, sarebbero molto migliori di quelli grazie ai quali tutti (compresi loro), sono cresciuti e maturati, diventando quello che sono oggi.
A costoro vorrei innanzitutto chiedere se le capacità e lo spirito critico che si ritrovano ora, e che li ha portati alla posizione in cui sono e anche al successo, siano stati da loro acquistati al supermercato o se li abbiano colti da qualche albero magico, oppure se non siano forse il frutto anche delle scuole che hanno frequentato, quelle stesse che ora demonizzano fino a volerle rivoluzionare (meglio, demolire).
Tuttavia rimango sul piano da loro aperto, e cioè quello del valore dello studio mnemonico, della memoria e dell’importanza in tutto questo dei compiti a casa. Espressioni quali «studio nozionistico» o «a memoria» sono diventate bestemmie educative, come se con questi termini ci si riferisse ad una raffinata specie di tortura nei confronti degli studenti. Certo, lo studio mnemonico non ha uno scopo immediato, e a volte sembra davvero arido. Ma basta questo per dichiararne l’abolizione? Davvero la memoria è da abbandonare con questa facilità e questa leggerezza tutta tesa all’immediatezza del risultato e dell’utilità? Dal punto di vista educativo e formativo, quanti valori fondamentali per la vita si possono imparare durante e attraverso uno studio anche di questo tipo, e proprio grazie ad esso? La pazienza, la precisione, l’attenzione, la scrupolosità, la perseveranza, l’umiltà anche. Non è sufficiente questo elenco?
Oggi, si dice, «L’importante è che un ragazzo sappia argomentare, che abbia la capacità di sviluppare un discorso, che ne mostri la logicità, che abbia le competenze e le abilità ecc.». Va bene, tutto bellissimo. Come però un ragazzo possa acquisire queste abilità e queste competenze senza prima essere passato delle conoscenze a prima vista aride, rimane per me un mistero insolubile. Su cosa si argomenta? Cosa collega? E come si può fare Latino senza il possesso nozionistico, meccanico, mnemonico, ripetitivo, delle declinazioni o delle desinenze verbali? E Inglese senza il possesso dei verbi irregolari? Come si può fare Storia senza le date? E Matematica senza le tabelline? Mistero della fede.
Ma ancora di più. L’essere umano è uno, tutto intero, e ogni sua componente contribuisce alla sua fioritura. Siamo sicuri che farlo a pezzi, lasciando da parte la memoria, sia il suo bene? Siamo sicuri che la memoria sia inutile, e che smettere di allenarla non porti anche le altre (prima fra tutte l’intelligenza) a rimetterci?
Per non parlare dei compiti. Solo chi ha perso completamente il senso della scuola potrebbe ipotizzarne l’abolizione, ritenendola pure sensata.
Come si può crescere senza l’allenamento? Come si può migliorare se non si continua a praticare quello che si è imparato, rendendolo sempre migliore? Se voglio crescere nel corpo devo fare gli esercizi. Se voglio imparare a suonare bene devo fare gli esercizi. Se voglio prendere la patente devo esercitarmi nelle guide. Perfino per la crescita spirituale ci sono gli esercizi. Dappertutto è necessario allenarsi per poter migliorare.
Ma nella scuola no. Per qualche strano motivo a scuola questo dovrebbe essere possibile, anzi auspicabile.
Nella scuola ci si può anche non allenare e non fare esercizio, pretendendo però che il risultato arrivi comunque. Certo, non sempre i compiti sono accattivanti. A volte sono anche noiosi che più noiosi non si può. Ma è un buon motivo per non assegnarli più? Per Sinner è stato accattivante passare intere sedute di allenamento per imparare il rovescio a una mano? È forse accattivante per uno studente di violino passare giornate intere a imparare a pizzicare sempre la stessa corda, per ore ed ore? E quindi? Non serve a nulla farlo?
I compiti sono imprescindibili per la crescita, per la stabilizzazione e il consolidamento delle proprie conquiste, per la presa di coscienza dei propri limiti e delle proprie qualità. Farli o non farli è una scelta dell’alunno, lo è sempre stata. Ma arrivare a pretendere che non vengano proprio assegnati, adducendo a questa richiesta perfino motivazioni pseudo-educative, è davvero troppo. Così si alimenta soltanto l’idea di poter ottenere tutto senza fatica. E nello stesso momento si porta avanti anche quell’antipatica presunzione di saper fare l’insegnante meglio degli insegnanti stessi, ergendosi a giudici del loro lavoro.
Per favore, lasciate che siano gli insegnanti a decidere! Sono loro che stanno quotidianamente in classe con gli alunni e lavorano insieme a loro, sono loro che più di tutti hanno il reale polso della situazione, sono loro che più di tutti dovrebbero sapere come agire per il meglio. Arrivando anche ad assegnare (addirittura!) dei compiti.
Marco Radaelli