Nel centro storico di Venezia una classe e alcuni docenti del Liceo Classico Statale “Marco Polo” si rifiutano di partecipare all’incontro con esponenti delle Forze Armate; e scoppia il finimondo. L’episodio è del 28 ottobre: in vista delle celebrazioni del 4 novembre (anniversario della vittoria italiana del 1918) il Dirigente Scolastico avrebbe autorizzato l’appuntamento definendolo — scrivono alcune testate — “obbligatorio per le classi dell’ultimo anno”. Alcuni docenti e le RSU del Liceo (che è anche artistico e musicale) hanno però rifiutato di partecipare e accompagnarvi le classi, considerando la procedura errata nel merito e nel metodo. Infatti, come hanno scritto in un documento pubblico, «Né il Collegio docenti, né il Consiglio d’Istituto hanno deliberato tale iniziativa», la quale «Non si è capito in quali organismi sia stata deliberata» e che «coinvolge gli studenti dell’ultimo anno (…) durante l’orario scolastico mattutino». E aggiungono: «Noi docenti (…) educhiamo i nostri studenti ai valori di pace, non violenza, dialogo». L’iniziativa appare loro fuori luogo, dacché l’articolo 11 della Costituzione ripudia il militarismo, e perché non è stata rispettata, loro parere, l’autonomia della Scuola come istituzione e dei docenti come professionisti. I quali, in effetti, devono obbedire solo a scienza e coscienza, e non giurano fedeltà allo Stato né alle Forze Armate dello Stato (Legge 116 del 30 marzo 1981).
Immediata (e rabbiosa) la risposta di alcuni media e di alcuni politici. Il direttore de Il Gazzettino due giorni dopo scrive: «La scuola dovrebbe essere una palestra in cui s’insegna innanzitutto pensare e a scegliere. (…) L’idea di erigere barriere, di imporre a tutti una visione del mondo, di vietare, come in questo caso, la presenza stessa di rappresentanti di istituzioni previste dalla nostra Costituzione, va nella direzione esattamente opposta. È la spia di una cultura che vuole imporre un pensiero unico, che censura a priori il confronto con chi è portatore di esperienze o di idee diverse dalle proprie. È una deriva illiberale a cui, per prime, le istituzioni scolastiche dovrebbero opporsi». «I “prof” insultano la Storia», titola duro Il Giornale.
Si occupa di loro anche la rivista Armi e tiro che, tra immagini di fucili, mitra e sistemi di puntamento, si premura di ricordare che i nostri generosi militi «sono sparsi per il mondo nelle numerose missioni di pace sotto l’egida dell’ONU per la stabilizzazione dei Paesi a rischio; un lavoro che serve, appunto, per assicurare la pace e non la guerra».
Tuona Elena Donazzan (Fratelli d’Italia), assessore all’Istruzione del Veneto: «Questi docenti non meritano di insegnare» perché «irrispettosi della Costituzione e delle Leggi». Infatti «La Costituzione riconosce l’importanza delle Forze Armate quale organo difesa dello Stato, una Legge italiana dedica alle Forze Armate la giornata dell’anniversario della firma dell’armistizio che segnò la fine della Grande Guerra». I docenti secondo Donazzan dimostrerebbero addirittura «un atteggiamento sovversivo, perché contestare le Forze Armate significa disobbedire alle leggi e all’ordinamento dello Stato, nonché mancare di rispetto a chi indossa ogni giorno con grande orgoglio la propria divisa». Evocando persino le Brigate Rosse, Donazzan ha annunciato che chiederà all’USR del Veneto un’ispezione in quell’Istituto, perché «La scuola non e’ un’organizzazione politica privata, e non può essere utilizzata per dar voce a propagande ideologiche ben lontane dal compito educativo degli insegnanti».
Ci si potrebbe tuttavia chiedere se sia più vicino al compito educativo degli insegnanti il dar voce propagande ideologiche calate dall’alto (dalle Forze Armate in questo caso) senza nemmeno interpellare gli insegnanti stessi; e se obbedire ad una coscienza antimilitarista sia davvero «disobbedire alle leggi e all’ordinamento dello Stato»; e se comunque l’obbedienza cieca e incondizionata sia ancora un valore dopo Auschwitz e Hiroshima (domanda cui rispose Lorenzo Milani); e se il ruolo dei docenti sia tornato ad essere — come durante il fascismo — quello di ripetitori automatici dei valori dominanti (anche quelli della guerra come unica soluzione possibile dei problemi) e non quello di professionisti impegnati nel fornire ai futuri cittadini strumenti culturali che educhino in loro il pensiero critico e la libertà di coscienza. Anche perché proprio la legge stabilisce che le iniziative didattiche in orario scolastico devono essere deliberate da Collegio dei Docenti e Consiglio d’Istituto. Sono forse anche questi pensieri sovversivi ed antipatriottici?
I professori ribelli hanno comunque incassato la solidarietà di Pax Christi, che così si esprime: «In mezzo tante notizie negative: tante guerre ancora in atto (…), spese militari, solo in Italia, di circa 25 miliardi di euro l’anno; vendita di armi paesi in guerra, come ad. es la Turchia; presenza sul nostro territorio di bombe nucleari; spese folli per nuovi aerei da guerra, come gli F35. (…) Ecco una buona notizia. Qualcuno che dice NO!».
Più di 140 docenti siciliani hanno firmato un appello di solidarietà ai colleghi veneziani, cui si può aderire anche sul gruppo Facebook Scuole libere dai militari.
Che ne pensano i nostri lettori?
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