I giornali fanno gara nel rilanciare le notizie di baggianate commesse da qualche insegnante “imprudente”. Ultima della serie, quella del docente del liceo romano “Orazio”, lasciatosi andare su Facebook ad un commento non proprio elegante sul modo in cui alcune studentesse usano vestirsi. Dall’episodio, certo inopportuno, è scaturito il consueto linciaggio mediatico nei confronti dell’incauto docente, del quale — come al solito — qualche personaggio in vista è arrivato chiedere il licenziamento in tronco, se non l’incriminazione penale.
Tiro al docente: sport nazionale in voga da almeno 30 anni. Gli stessi 30 anni che han visto l’impiegatizzazione ope legis (a partire dal D. Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29) dei docenti delle scuole, lo svilimento del loro stipendio, il malcelato disprezzo per la loro funzione e professionalità. Tutto ciò (unito a tutte le scelte in materia d’istruzione dal 1992 ad oggi, che hanno spolpato all’osso la percentuale di PIL destinata alla Scuola, mentre le spese militari lievitavano) genera un circolo vizioso: docenti sotto attacco e sulla difensiva, con conseguente calo di autostima, consapevolezza del proprio ruolo, dignità. Certi comportamenti si spiegano anche con questo circolo vizioso. Ed ecco che le défaillance dei docenti — pochissime sulla stragrande maggioranza di ottimi insegnanti — fanno sempre notizia perché fanno vendere i giornali e raggranellano milioni di clic sul web.
Perché un trattamento del genere è riservato in Italia solo alla categoria docente? Perché lo stesso livore, la stessa velocità di giudizio (negativo) non colpisce mai giornalisti, medici — che so io — ingegneri, giudici, arbitri, politici che sbagliano? Perché qualcuno — magari membro di associazioni sindacali di dirigenti scolastici — si arroga sempre il diritto di definire la deontologia (persino nella vita privata!) del docente? Chi può stabilire il codice deontologico di una categoria, se non un organo elettivo formato da esponenti della categoria stessa? Non è così per giornalisti, notai, avvocati e ingegneri?
In Italia, si sa, il solo parlare di Ordine degli insegnanti appare eretico. Anche se, sempre nel Bel Paese, sono tutelati da un ordine professionale persino maestri di sci, guide alpine, spedizionieri doganali, attuari, ostetriche e aerotecnici. Un ordine professionale nella Penisola non si nega a nessuno, tranne che ai docenti delle scuole!
Funzione dell’ordine professionale è l’autogoverno della professione: attraverso il controllo dell’albo professionale, l’istituzione di un consiglio di disciplina, la responsabilità deontologica della professione, la segnalazione alla magistratura degli abusi, la pronuncia presso le istituzioni su tutto quanto riguardi la categoria. Spetta all’Ordine — non alle associazioni dei dirigenti scolastici, né ai giornalisti, né all’uomo della strada — la pronuncia su casi come quello del docente dell’“Orazio”. Nessuna categoria professionale accetterebbe quanto i docenti sopportano (per l’ormai introiettato ruolo di travet cui li ha relegati un trentennio di propaganda): ossia i continui tamtam che riversano tonnellate di fango sulla categoria stessa, crocifiggendone ogni singolo esponente che sbagli.
In Italia si preferisce “valutare” i docenti coi vaticini dell’INVALSI, anziché affidarne la valutazione a un Ordine dei docenti, che sanerebbe il debito di dignità negata ai docenti stessi da tutto il Paese.
Docenti sotto schiaffo: forse questo si vuole (secondo la pedagogia sociale capovolta che li vuole pagati come netturbini, e che vede i laureati lavorare nei call center, fuggire all’estero o fare i docenti precari per 20 anni)? affinché i giovani sappiano bene che in Italia cultura, lavoro intellettuale, creatività, libertà interiore (che della cultura è figlia) — come i carmina — non dant panem? Perché nulla cambi, in questo sventurato paese?
A mutare il quadro ha provato soltanto un sindacato di base nel 2009, presentando un disegno di legge poi portato in Parlamento da Antonio di Pietro (e frettolosamente sepolto nei cassetti del Palazzo). Prevedeva l’istituzione di un «Consiglio superiore della docenza, organo di autogoverno e garanzia della deontologia professionale dei docenti, formato da insegnanti eletti» col compito di «definire gli standard professionali attraverso l’individuazione di meccanismi volti al monitoraggio dell’efficacia dell’insegnamento e della valorizzazione del merito, di sovrintendere alla formazione iniziale e in itinere dei colleghi (anno sabatico), di intervenire sulle norme di accesso all’insegnamento, di gestire l’albo professionale e l’ambito disciplinare, di statuire e far rispettare il codice deontologico professionale».
Troppo bello per essere vero? In Italia forse sì. Ma i cambiamenti — la Storia insegna — si raggiungono soltanto mirando verso ciò che appare utopico. Non sarebbe forse utile che i docenti ritrovassero la consapevolezza di sé? Senza questa loro consapevolezza, non è forse la Scuola pubblica stessa ad esser minacciata, nella sua autonomia e nel suo ruolo di ascensore sociale per tutti (perché esposta ai diktat delle lobby, agli sberleffi di chi non l’ama e alle persecuzioni di chi non ne gradisce il ruolo di organo costituzionale per la crescita della democrazia)?
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