Il tema dell’inclusione e della presa incarico delle fragilità è argomento che per la scuola italiana rappresenta motivo d’orgoglio giacché nasce da un processo di civiltà nato nella seconda metà degli anni settanta con il riconoscimento da parte dello Stato di integrare i soggetti con handicap nelle classi comuni.
Il dibattito pedagogico interessò anche il mondo politico fino a promuovere una legge quadro che riconoscesse e garantisse i diritti della persona con handicap non solo a scuola, ma in qualsiasi altro settore della società.
Dal punto di vista pedagogico il problema divenne ancora più pregnante allorché i soggetti non più portatori di handicap, ma diversamente abili e oggi definiti fragili, furono visti come soggetti arricchenti nel contesto della classe.
In questa direzione lo Stato, per voce del suo ministero dell’istruzione, divenne promotore di tutte una serie di disposizioni volte a garantire, a tutti i fruitori del servizio scolastico, l’opportunità di esprimere a ognuno le proprie capacità attraverso una strategia didattica individualizzata e personalizzata ove occorresse.
Sul finire del primo decennio del terzo millennio il problema dell’inclusione divenne argomento centrale della scuola nella misura in cui è attribuito alla scuola una dimensione inclusiva attraverso delle direttive volte ad assicurare, l’effettiva usufruibilità del diritto allo studio degli alunni con disabilità, mediante risposte adeguate ai loro bisogni educativi speciali.
In questo senso sono introdotte delle misure compensative e dispensative per i soggetti con particolari difficoltà apprenditive e vengono dati dei suggerimenti operativi nella logica della didattica individualizzata e personalizzata ponendo l’attenzione al piano metodologico rispetto a quello contenutistico.
Inoltre diventa pregnante per la formazione della persona il modello introdotto dall’ICF, bio-psico-sociale, che nel prendere in considerazione i molteplici aspetti della persona li aggancia al cotesto sociale in cui vive giungendo così ad una definizione di “disabilità” come ad “una condizione di salute in un ambiente sfavorevole”.
Sulla base di tali principi trova legittimazione la proposta inclusiva e la “presa incarico delle fragilità” presente nelle linee programmatiche del Ministero dell’istruzione, che sostanzialmente definisce la scuola inclusiva come “quella che consente a ciascuno studente di seguire il proprio percorso e sviluppare pienamente le proprie potenzialità” in una prospettiva non solo individuale ma anche comunitaria.
In questo senso la scuola inclusiva non è rivolta solo ai più deboli e ai “fragili”, ma è rivolta a tutti e a ciascuno, giacchè il servizio scolastico è un servizio rivolto a tutti con il compito di valorizzare in ognuno le potenzialità e prestare attenzione non solo ai più deboli, ma anche ai soggetti con un alto potenziale apprenditivo che spesso vengono ignorati e considerati come soggetti che non accettano le regole.
Le linee inoltre affermano di voler andare oltre la concezione dei bisogni educativi speciali “che enfatizzano le diversità, in un’ottica della pluralità dei bisogni educativi degli studenti” per promuovere un processo d’insegnamento/apprendimento volto a promuovere la “scoperta delle conoscenze” in un ambiente scolastico veramente inclusivo dove “anche gli spazi diventano parte costitutiva dei processi di apprendimento”.
In questa prospettiva Le linee programmatiche trovano rilevante e per questo facilitante che una scuola inclusiva non sia solo un fatto scolastico, ma sia allargato alla comunità attraverso “lo strumento dei Patti educativi e il coinvolgimento delle reti delle associazioni, del terzo settore, di tutte le agenzie educative, culturali e sociali del territorio”.
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