Nelle linee guida del MIUR relative al PTOF, contenute nella nota 2805 del 11 dicembre 2015 troviamo un passaggio a dir poco sconcertante
Si legge nelle linee-guida: “L’adozione di modalità che prevedano di poter lavorare su classi aperte e gruppi di livello potrebbe essere un efficace strumento per una didattica individualizzata e personalizzata”
Un’affermazione che richiama l’idea delle classi differenziali di triste memoria e che contrasta, oltre che con i risultati delle esperienze del passato, con le evidenze scientifiche presenti in letteratura, come gli studi citati nel Rapporto sulla scuola in Italia 2011, della Fondazione Agnelli,[1] o il lavoro di John Hattie[2] nel quale, nei dati emersi da meta-analisi che hanno coinvolto 240 milioni di studenti, su 150 elementi presi in considerazione, i gruppi di livello all’interno delle classi risultano al 120° posto, le classi differenziate per abilità al 131° e le classi aperte al 145°.
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Una scelta del genere rappresenta peraltro un’inversione di rotta clamorosa rispetto alle scelte orientate verso la costruzione di una scuola inclusiva.
Subito dopo il testo della nota MIUR prosegue come segue: “Si pensi alle esperienze, già ampiamente sperimentate, di recupero e/o potenziamento in orario curricolare basate anche su modalità peer to peer (…) alla didattica basata sull’apprendimento cooperativo …”
Si citano quindi modalità di lavoro diametralmente opposte a quelle della separazione tra allievi capaci e meno capaci. Si tratta infatti di modalità di lavoro che creano condizioni in cui chi ha maggiori abilità lavora insieme a chi è in difficoltà, in un’ottica di di solidarietà, aiuto reciproco e inclusione.
Si spera si tratti di una “svista” del MIUR alla quale si trovi rapidamente rimedio con un “Errata corrige”
[1] Fondazione Giovanni agnelli, Rapporto sulla scuola in Italia 2011, Editori Laterza, Bari, 2011, p. 51 e p. 94.
[2] Hattie J., Visible Learning, Routledge, New York, 2009. Hattie J., Visible Learning for teachers, Routledge, New York, 2012.
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