Le istituzioni e la scuola si impegnino maggiormente per sostenere e diffondere la conoscenza dell’italiano parlato e scritto.
Il monito arriva da Claudio Marazzini, presidente dell’Accademia della Crusca, intervenuto il 22 novembre sul tema “150 anni della lingua d’Italia”.
“La lingua italiana è quella che ci fa popolo italiano, e che fa italiani anche i nuovi italiani che arrivano da altre nazioni e continenti”, ha detto.
“Nel 1861 lingua italiana, che pure esisteva ed era servita per produrre capolavori letterari, difettava di popolarità, e quel difetto era segno di un problema politico-sociale enorme, che a stento è stato superato in 150 anni. Ancora oggi il rapporto Piaac dell’Ocse segnala uno scarto tra la capacità di comprendere un testo propria degli italiani e quella della media dei cittadini di altre nazioni d’Europa”, ha continuato Marazzini.
Durante la giornata, riporta l’agenzia Adnkronos, è stato annunciato che tra i progetti dell’Accademia di Firenze figura il ritorno, dopo le cinque edizioni della Crusca, alla lessicografia generale: è la “nostra vocazione originaria: non a caso abbiamo messo in cantiere il corpus in vista del nuovo grande vocabolario dell’italiano post-unitario, l’italiano dei 150 anni”, ha sottolineato il suo presidente.
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“La posizione negativa degli italiani nel rapporto dell’Ocse non deve tuttavia essere motivo si sconforto – ha evidenziato l’illustre linguista – ma deve valere come sprone a considerare le ragioni storiche di un divario, e quindi intervenire ancora con decisione sulle strutture scolastiche per potenziare la capacità linguistica dei cittadini nelle forme più utili, non solo per la degustazione raffinata dei testi letterari, ma coltivando la lingua in quanto strumento di comunicazione, di ragionamento, di scambio civile e sociale”.
Dopo un lungo excursus storico, l’esperto di lingua italiana ha osservato che “discutere di lingua volle dire cercare di organizzare una scuola migliore, riformare le istituzioni per creare un’Italia più moderna, più europea”.
Marazzini si è poi soffermato sul lungo dibattito circa la lingua nazionale che si è svolto tra gli studiosi nell’ultimo secolo e mezzo e quante siano state le iniziative per la sua diffusione e una migliore comprensione. “Possiamo dire che la cultura dell’Italia repubblicana ha realizzato straordinari strumenti di consultazione, relativamente alla lingua, che prima mancavano”, ha commentato Marazzini.
“L’italiano moderno ha dunque gli strumenti di consultazione che ci si aspetta esistano per una lingua europea di una nazione ricca di 60 milioni di parlanti, una lingua che è la quarta studiata nel mondo, e a cui ci si accosta non di rado proprio per poter leggere testi di grande peso culturale, che richiedono appunto la consultazione di strumenti raffinati”, ha evidenziato il presidente dell’Accademia della Crusca.
Per poi concludere, ricordando che “una lingua di cultura non si presenta nuda come lingua di popolo, ma va accompagnata dai libri con cui studiosi e ricercatori la fanno crescere, e dai libri che ne illustrano le caratteristiche e ne raccolgono le risorse: il vocabolario, appunto, in cui per quattrocento anni si è distinta la nostra Accademia, dopo che fu suo merito l’aver inventato e realizzato nel 1612 il primo grande vocabolario di una lingua europea”.
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