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L’intelligenza artificiale farà diagnosi d’infarto più precise dei cardiologi: i docenti prendano esempio senza farsi fagocitare dallo strumento

Ormai non passa giorno sulle estensioni e applicazioni dell’intelligenza artificiale che rendono più agevole la vita dell’uomo. L’ultima è di sabato 16 dicembre, quando a Roma, durante il congresso della Società italiana di cardiologia, i medici hanno voluto dare una ammissione che ha il sapore della svolta: l’intelligenza artificiale potrà superare il cardiologo nella precisione delle diagnosi di infarto.

I cardiologi hanno innanzitutto dimostrato, studio alla mano, la superiorità dell’algoritmo nella lettura degli elettrocardiogrammi: statisticamente è stato dimostrato come l’IA sia in grado di effettuare un numero maggiore di diagnosi più precise.

Il dato non è da poco, perché solo in Italia l’infarto acuto del miocardio colpisce ogni anno 120mila cittadini e di questi 25mila muoiono prima di arrivare in ospedale.

Il modello, sviluppato dall’Università di Seul, sarebbe efficace nella diagnosi automatica dell’infarto a partire da un elettrocardiogramma standard: l’accuratezza della risposta, dopo avere esaminato oltre 100 pazienti, ha portato a concludere che l’individuazione di un infarto miocardico grave da parte dell’algoritmo sarebbe pari al 98,7%. E il sistema automatizzato sarebbe in grado anche smascherare false diagnosi di infarto.

Il modello di intelligenza artificiale che “stiamo testando – ha detto Ciro Indolfi, past-president della Sic e leader italiano dello studio sull’IA nei pazienti con sindromi coronarica acuta – ha la possibilità di avere informazioni aggiuntive non evidenziabili dall’occhio umano, come la funzione del ventricolo sinistro, il ritmo cardiaco o la presenza di un versamento pericardico partendo da un semplice Ecg”.

Il cardiologo non ha dubbi: “La possibilità di velocizzare l’accesso nel laboratorio di emodinamica, grazie al ricorso all’IA, significherà salvare vite umane. Basterà fotografare con uno smartphone l’Ecg di un paziente con dolore toracico per ottenere la diagnosi di infarto e la sua gravità”.

Pasquale Perrone Filardi, presidente Sic e direttore della scuola di specializzazione dell’Università Federico II di Napoli, ha detto che “in futuro saranno disponibili sistemi sempre più sofisticati di intelligenza artificiale che entreranno nel mondo della Cardiologia. Certo, l’IA non sostituirà il medico, ma il cardiologo ‘digitale’ supererà quello che non usa l’intelligenza artificiale che consente diagnosi più precise con un trattamento mirato e più efficace”.

Ma se l’intelligenza artificiale arriva a diventare affidabile al punto di anticipare i medici nelle diagnosi, cosa dobbiamo aspettarci nella scuola? Si può dire che il docente potrà perlomeno essere supportato dagli algoritmi on line? Sicuramente, anche nel campo dell’Istruzione dobbiamo aspettarci indiscutibili vantaggi: negli esercizi di grammatica, nella scrittura di testi, nel generare nuove e originali immagini, nel cambiare modo d’insegnare (argomento al quale La Tecnica della Scuola ha dedicato anche una diretta sui canali Social con migliaia di studenti collegati in real time), nel riconoscimento facciale degli alunni e quindi nello sveltire le operazioni di compilazione del registro elettronico, oltre che nel fare risparmiare tanto tempo agli insegnanti, nel motivare gli studenti. Qualche settimana fa, il ministro Giuseppe Valditara ci ha detto anche che grazie all’IA sono stati dimezzati anche i tempi per l’assegnazione delle supplenze dei docenti.

Detto questo, non possiamo tuttavia non sottolineare che mai e poi mai l’intelligenza artificiale potrà sostituirsi all’insegnante, soprattutto all’ottimo insegnante. La strada da percorrere, quindi, non può essere che quella dell’alleanza tra il docente e i sistemi di intelligenza artificiale, evitando in ogni caso sterili contrapposizioni.

Come ha saggiamente scritto sulla Tecnica della Scuola Rodolfo Marchisio, “gli studi OCSE 2014, 15 e studi seguenti hanno rilevato che ‘Le tecnologie di per sé non modificano la qualità dell’insegnamento/apprendimento’. I ‘buoni docenti si. L’ideale sarebbe dare ‘buone” tecnologie’ in mano a ‘buoni’ docenti, che non solo le usino, ma che si domandino ‘come funziona e perché funziona in questo modo e che conseguenze ha su di noi’”.

Ancora Marchisio se la prende con “quegli insegnanti che, per moda o per stanchezza, si concentrano sull’insegnare ad usare e non sull’insegnare a riflettere”, ma anche contro “la sciagurata scelta delle piattaforme per la DaD, in prevalenza Google (Zoom, Class room e simili) da cui però siamo ancora, dopo quattro pronunciamenti duri dell’allora Garante della privacy Soro, dipendenti”.
Perché, ha sottolineato il filosofo-formatore, “il compito della scuola non è quello di insegnare a usare solo, ma di insegnare a conoscere e smontare il giocattolo web per una cultura e cittadinanza digitale.  Se chiudo mia figlia in garage a giocare coi comandi non è che impara a guidare”.

Marchisio conclude il concetto sostenendo che, in definitiva, “l’IA è già tra noi: a partire dagli algoritmi di google e dei social di cui però non siamo né consapevoli né padroni se mai vittime o consum-attori”.

È sempre più chiaro, quindi, che alla base dell’utilizzo dell’IA vi è l’esigenza di attare una accurata formazione dei docenti e l’introduzione di regole chiare (l’Unione europea è già corsa ai ripari), per evitare che lo strumenti tecnologico diventi dannoso piuttosto che di reale aiuto.

Alessandro Giuliani

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